“Per noi la parola stand-by non esisteva”, dice Sarah Andelman ricordando gli anni in cui gestiva la sua leggendaria boutique parigina Colette. “Eravamo sempre attivi,
Andelman e sua madre Colette Rousseau — da cui lo store ha preso il nome — hanno creato uno spazio che ha abbattuto i confini fra moda, design, arte e cibo. E che ha generato centinaia di collaborazioni con nomi importanti, da McDonald’s alla Mattel, mettendo insieme brand del lusso e streetwear, arte e fast food, oltre ad aver ospitato innumerevoli performance, mostre e installazioni. Fra i momenti più memorabili ricordiamo un pop-up di Chanel in un ex garage, con tanto di borsette e nail art personalizzate; la presentazione della collezione autunno inverno 2015 di Kim Jones per Louis Vuitton, e il takeover di Balenciaga dell’intero spazio della boutique nel 2017 (il primo brand a fare una cosa del genere) con il merchandising ispirato a Bernie Sanders. E come dimenticare il celebre Water Bar, con la sua vasta scelta di drink da tutto il mondo?
© Hugues Lawson-Body
Situato al numero 213 di Rue Saint-Honoré, Colette è diventato famoso per il suo indimenticabile Pantone 293C, detto anche blu Colette, sui prodotti e nell’arredamento interno. “Compro tutto lì. È l’unico negozio in cui vado perché hanno cose che non ha nessun altro”, sembra abbia dettoKarl Lagerfeld. E quando è stato annunciato che Colette avrebbe chiuso i battenti a dicembre 2017, i suoi follower più fedeli hanno pianto la fine di un’epoca.
Non deve quindi sorprenderci se è uscito proprio in questi giorni un documentario dedicato al celebre concept store, Colette, Mon Amour (con relativo lancio di prodotti il 14 dicembre in collaborazione con Thom Browne, Saint Laurent, e Lego, fra gli altri). Diretto da Hugues Lawson-Body, il documentario racconta la storia di Colette e mostra i suoi ultimi giorni prima della chiusura, con la partecipazione di ospiti come Kanye West, Virgil Abloh, e Pharrell Williams, con le loro testimonianze personali e i racconti del grande impatto culturale della boutique parigina.
Abbiamo parlato con la direttrice creativa e cofondatrice di Colette, Sarah Andelman, che ripercorre gli anni passati nell’iconico concept store e ci anticipa cosa vedremo nel documentario Colette, Mon Amour.
© Hugues Lawson-Body
Come era nata l’idea di aprire Colette con sua madre nel 1997, quando i concept store così esclusivi erano un’anomalia?
“I prodotti che amavamo comprare a New York, Londra e Tokyo, a Parigi non si trovavano, e volevamo invece che fosse possibile. E poi lo spazio del negozio era grande abbastanza per unire moda, design, arte e il Water Bar, ci siamo innamorate della luce al secondo piano la prima volta che siamo andate a vedere gli spazi”.
Qual era il concept originale per Colette e in che modo è cambiato con il passare degli anni?
“Il concept non è mai cambiato. Il nostro motto quando abbiamo aperto era Stile, design, arte e cibo. Fino alla fine, l’idea è stata quella di mettere insieme tutto quello che ci piaceva da tutte le discipline possibili. Quello che è cambiato è che abbiamo creato sempre più collaborazioni ed eventi speciali”.
Perché Colette ha avuto un impatto così grande sullo shopping, sulla moda e sul retail?
“Perché ci rinnovavamo continuamente. C’erano nuovi prodotti ogni settimana, ogni giorno. E anche per l’accessibilità. Cercavamo di confrontarci direttamente con tutti i nostri clienti e aiutarli al meglio. E ovviamente per la selezione molto curata di prodotti”!
Perché collaborare con stilisti e artisti era così importante per Colette?
“La nostra era una posizione unica perché lavoravamo di continuo con artisti interessanti in tantissimi campi che altrimenti non avrebbero avuto la possibilità di incontrarsi. Ci piaceva moltissimo questo tipo di interazione, un po’ come giocare a ping-pong”.
Le sue collaborazioni preferite con artisti e designer negli anni?
“È difficile scegliere perché ce ne sono state tante, e di meravigliose, ma mi viene in mente Hermès per il foulard Brides de Gala, Chanel naturalmente, Hello Kitty x Playboy, così inaspettata e divertente, Nike Jordan e Adidas Stan Smith, e, ovviamente, tutti gli ultimi mesi con Thom Browne, Sacai e Balenciaga. Mi sono piaciuti moltissimo anche i macaron di Pharrell (Williams, NdR), con Ladurée e l’hamburger blu con Blend”.
© Hugues Lawson-Body
E fra le performance dal vivo?
“Travis Scott al nostro ultimo party, Ibeyi, i nostri amici Pedro Winter e Michel Gaubert ovviamente, e ricordo ancora un concerto folle con Jacques, Papooz e Cassius nel 2016 per la Fête de la Musique”.
E come è natoColette, Mon Amour?
“Non avevamo idea che sarebbe uscito il documentario! Hugues Lawson-Body ci ha contattato e chiesto se poteva venire a fare delle riprese in negozio negli ultimi giorni di Colette. Ci ha messo un anno a montare tutto il materiale filmato nello store, con i clienti, il team e i soci. Ha fatto quasi 100 interviste, ed è andato anche in Giappone e in America per il film”.
Senza svelare troppi dettagli, cosa crede piacerà al pubblico del documentario?
“Guardarlo adesso è una cosa molto speciale. Con tutto quello che è successo nel 2020, Colette sembra appartenere a una passato lontanissimo. Sono felice che la gente possa vivere ancora tutta l’energia, la libertà che avevamo, e conoscere il team che lavorava dietro le quinte”.
Che consiglio darebbe a chi ha in mente di aprire un negozio?
“Siate curiosi, siate veri, e seguite sempre il vostro istinto”.
Che cosa spera per il futuro della moda e della retail industry?
“Che si orientino verso la sostenibilità, che sembra essere una priorità per tutti e che mi dà moltissima speranza”.
Colette, Mon Amour è sucolettemonamour.com