Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, rilegge e ri-scopre in chiave moderna i simboli della maison
Le parole hanno un potere che in genere si
Dunque ha molto senso che il direttore creativo di Valentino Pierpaolo Piccioli parli di ri-significazione, termine in uso tanto nella linguistica quanto nella psicologia, per definire il nuovo processo grazie al quale Valentino, che è azienda, ma anche marchio e logo cioè segno, e come tale si trasforma in riconoscimento, innescando il processo del desiderio e dell’acquisizione come rafforzativo di identità, rilegge e ri-scopre in chiave moderna i propri simboli. Piccioli parla di rilettura del segno Valentino ormai da quasi un anno; il mese scorso ha reso visibile questo processo attraverso un libro che raccoglie sedici reinterpretazioni libere del logo, la celebre V, da parte di altrettanti fashion magazine indipendenti, con risultati non sempre riuscitissimi o condivisibili, ma comunque interessanti come esperimento artistico e, soprattutto, sociale.
© Sølve Sundsbø
Ora lo fa con un percorso immersivo di arte, musica, video e abiti alla Power Station di Shanghai. “Valentino Re-Signify Part One”: una brand experience diacronica, senza percorso fisso, lasciata all’immaginazione e alle libere associazioni del visitatore (si può seguire anche online, naturalmente, sul sito) studiata con Mariuccia Casadio e Jacopo Bedussi, che lavora a fondo, talvolta anche crudamente, senza alcuna delle leziosità del passato, sui significanti del marchio: il rosso, i fiori, i pois, ma anche le borchie, queste ultime segno identitario della direzione Piccioli.
Affermarsi e trovare la propria strada all’interno del percorso tracciato da uno dei grandi nomi dell’alta moda italiana non dev’essere stato facile, per Piccioli, sia nei lunghi anni della direzione creativa condivisa con maria Grazia Chiuri sia in questi ultimi (già cinque?) anni di direzione creativa a solo. Quanto sia stato difficile, lo capiamo solo adesso che Piccioli prende il coraggio di esprimere, davvero, il proprio pensiero; continuando a rispettare l’immenso patrimonio della Valentino portandolo però alla sua essenza. Il fiore stilizzato, il pois micro o ipertrofico, i volumi ipertrofici che trasformano l’abito in sur-realtà. Le borchie, gli “stud” disegnati da Piccioli hanno compiuto dieci anni: segno punk applicato su un calzatura borghese, determinarono il grande rilancio del marchio, il suo riaffacciarsi sul mercato dei giovani.
Questa operazione, che Piccioli e il team hanno realizzato in poche settimane, lavorando e gestendo allestimento e soluzioni da remoto, in lunghe, lunghissime ore di connessione, rinnova lo scopo iniziale, e cioè il riallineamento con il pubblico dei ventenni che deve fare proprio il messaggio di Valentino continuando però a trovarvi continuità rispetto al passato. Un’operazione che potrebbe sembrare di marketing, ma che non lo è. E’ invece un’operazione difficilissima, ed è piuttosto incredibile che venga compiuta in questo momento congiunturale e storico. O forse no: forse è proprio questo il momento per provare a restare rilevanti in un mondo che si disgrega, che perde punti di riferimento, che ha scoperto di non essere affatto globale, ma piuttosto vittima delle proprie inquietudini e diffidenze singole, nazionali, locali. Mantenere alta l’attenzione di milioni di persone che vivono ogni giorno per un tempo indefinito connessi a tutto e a niente, in ansia costante, consce della fallacità del web e della propria stessa esistenza, è una sfida disumana.
Io, e per una volta passo alla prima persona, vi devo dire che sono incredibilmente ammirata da quello che Piccioli, e non solo lui perché nel computo vorrei mettere Moncler, Gucci, Armani, continuano a fare con questa tenace, incredibile ostinazione. La flessibilità creativa è l’unico valore che ci unisca tutti in questo momento. Guardare a breve, brevissimo, e trarne il meglio. La mostra di Valentino si concluderà il 17 gennaio. Nella sua natura specifica di “Part One”, postula una “part two”. Che nessuno sa quando e come sarà. Ma ci sarà, certamente. Ed è quello che conta.