Le avventure di Pirellone e Pirellino

                                   

Tra le varie ricorrenze di questo 2020 c’era anche quella dei 60 anni del grattacielo Pirelli,

a Milano, progettato da Gio Ponti. Finora è rimasta abbastanza in sordina, ma le celebrazioni che stanno cominciando e, se tutto andrà bene (scusate l’abusata frase fatta), culmineranno l’anno prossimo con una grande mostra si preannunciano un evento di orgoglio tanto milanese quanto nazionale. Intanto, Marsilio ha editato in questi giorni un bel libro, “Storie del Grattacielo” e il sito dedicato 60grattacielopirelli.org racconta in cinque tempi tutta la vicenda del Pirellone (oggi Palazzo Pirelli) con annessi e connessi. Casa Vogue si occupò del progetto pontiano direttamente e non. Scoprirete perché. Oggi, per fare Natale, vi riproponiamo le due storie. La prima uscì ad aprile 2009. La scrisse Marco Sammicheli, a lungo nostro collaboratore, al quale oggi (Natale! Natale!) facciamo tantissimi auguri anche per la sua fresca nomina “a membro del Comitato Scientifico come curatore per il settore Design, moda e artigianato” della Triennale di Milano. Marco Sammicheli (che succede a Joseph Grima) sarà Sovrintendente al Museo del Design Italiano e si occuperà delle attività espositive, di ricerca e di implementazione della collezione permanente. Casa Vogue ha da sempre un bellissimo rapporto con la Triennale, un futuro di nuove collaborazioni è il nostro augurio. Basta chiacchiere, è ora di cominciare. Per iniziare, dunque, ecco la storia della statua che c'è, ma non si vede, proprio lassù. (Paolo Lavezzari)

La copia a misura ridotta della Madonnina del Duomo di Milano, collocata sul tetto del Pirelli, al 32o piano (Foto courtesy Fabio Barbalini).

Questa storia parte da molto lontano e coinvolge quasi tutti i miti moderni di Milano. Inizia nel 1774: a sorpresa, i deputati della Veneranda Fabbrica del Duomo decidono di collocare sulla guglia più alta la Madonnina, vincendo i timori di fulmi­ni e di una certa instabilità della statua, alta 4,16 metri. Scol­pita da Giuseppe Perego e fusa in rame dorato dall’orafo Giuseppe Bini, raffigura l’Assunta con lo sguardo rivolto verso il cielo a intercedere, da 108,5 metri d’altezza, per la be­nedizione divina sulla città. Da allora, andando ben oltre il fatto religioso, la Madonnina – e ciò che accade all’ombra di essa – indica per antonomasia il capoluogo lombardo. Arri­viamo agli anni Sessanta del Novecento: la nostra storia si arricchisce di eventi ed entra nel vivo. Oltre la Madonnina, i protagonisti sono ora l’erigendo Grattacielo Pirelli, il suo pro­gettista, Gio Ponti, i committenti, Alberto e Leopoldo Pirelli, il cardinal Montini, futuro Paolo VI. Una disposizione non scritta del Comune, risalente agli anni Venti e resa ufficiale un decennio dopo, vieta di costruire in città edifici che sovra­stino il primato della statua. Fedeli alla norma, così si erano regolati i BBPR per la Torre Velasca (1955-57) e ancor prima Ponti per la Torre Branca (1933). 

Ma la costruzione del Grattacielo Pirelli, voluta dalla dinastia dei pneumatici, presenta in modo eclatante l’infrazione del divieto raggiungendo 127 metri d’altezza. Siamo nel 1960, la cattedra di Sant’Ambrogio è presieduta da Montini. Il Pirelli è il simbolo di una città in pieno boom economi­co; per lavoratori, immigrati e cittadini è la sintesi di un sentimento laico, quasi calvinista, di una comunità dedita al lavoro, al sacrificio, al sano profitto. Se il problema strutturale della falda freatica sottostante viene presto superato grazie alle soluzioni ingegneristiche escogitate per la fondazione dell’edificio da parte di Pier Luigi Nervi, il vuoto simbolico e religioso necessita una soluzione. Così, complice l’attitudine devota di Ponti e la pressione dell’arcivescovado, Alberto e Leopoldo Pirelli accolgono la proposta, ricca di significati e diplomazia, di installare sul tetto del grattacielo una copia della Madonnina, alta però solo 85 centimetri; invisibile al mondo non solo per le dimensioni, ma anche perché il 32° piano del Pirellone è off ­limits pressoché a tutti. La memoria della statua pare perdersi, dato che non esistono sue foto in nessun archivio, e quella in questa pagina è stata realizzata in via eccezionale. 

Quando, nel 1978, l’edificio viene ceduto alla Regione Lombardia, la statua è sempre lì. La nostra storia, come quella con la S maiuscola, non si ferma. Oggi, vicino al Grattacielo Pirelli, una cordata di architetti guidati dal maestro sino­americano Pei sta portando a compimento il nuovo Palazzo della Regione (161,3 metri, inaugurato nel 2010). Benché in tempi così secolarizzati, ciò che accadde cinquant’anni fa diventerà una tradizione: al trentanovesimo piano dei 43 di Palazzo Lombardia sarà infatti installata un’altra Madonnina. Un segno di quel dialogo tra mondo laico e religioso che a Milano passava, anche, per l’arte e l’architettura. 

 Il plastico del Grattacielo Pirelli, progettato da Gio Ponti nel 1953; l’edificio fu costruito fra il 1956 e il 1960 (foto da “Milano 70/70”, Poldi Pezzoli, 1972).

Ed eccoci alla seconda storia che riguarda invece un parente provinciale del Pirellone, il cosiddetto Pirellino, a Voghera; è un  progetto che per cronologia si  sviluppa quasi in parallelo con quello milanese, essendo datato 1952. La storia la pubblicammo nell’aprile 2010. La scrisse Luigi Canevari, appassionato di modernariato e vero esperto della storia del Pirellino. Dieci  anni fa chiudevamo l’articolo con un interrogativo e un auspicio perché allora non si sapeva quale sorte attendeva il progetto pontiano. C’è stato un lieto fine, a leggere le cronache; con una ristrutturazione radicale affidata all’Architetto Marco Fumagalli, il Pirellino è oggi una “green house” in piena regola, ad alto contenuto tecnologico e minimo impatto ambientale, climatizzazione, domotica e appartamenti di pregio.Sarà pure per il periodo, ma le belle notizie, anche se non fresche di giornata, fanno sempre piacere.

Il modellino del progetto iniziale che mette in mostra la complessità dell’idea pontiana. (Foto courtesy Archivio Gio Ponti).

Non sono solo i raffinati progetti delle ville sudamericane, quello del grattacielo Pirelli (il Pirellone) o le sedute per Cassina a impegnare Gio Ponti a metà degli anni 50. Entusiasta, infaticabile, l’architetto milanese trova il tempo anche per imprese minori, provinciali, alle quali dedica le medesime cure e attenzioni che profonde per le grandi commesse. Poco nota, difficile da ricostruire per varie lacune documentarie e testimoniali, è la storia del Centro Carlo Gallini che, a Voghera, in provincia di Pavia, è da sempre chiamato Pirellino. Il progetto iniziale – due palazzine di dieci e cinque piani per uffici e un volume di collegamento orizzontale adibito a negozi che dovevano sostituire un gruppo di vecchie case – superava i confini della pura architettura, per divenire un intervento urbanistico che avrebbe mutato radicalmente l’assetto di tutto un isolato del centro storico cittadino. D’obbligo il condizionale: alla fine degli anni 50 viene costruita solo la palazzina di cinque piani che ospita uffici amministrativi e abitazioni; al piano terra si colloca un auditorium. Nei decenni, lo stabile, ormai sovradimensionato per le mutate esigenze degli occupanti, viene man mano abbandonato. Oggi, di proprietà di una società immobiliare lombarda, ospita alcuni inquilini, ma il suo destino rimane incerto: forse diverrà un edificio residenziale e l’auditorium sarà trasformato in autorimessa. 

Il plastico del complesso visto dall’alto (Foto courtesy Archivio Gio Ponti).

Rimasto appartato, mimetizzato nel vecchio centro, nonostante qualche insulto del tempo, il Pirellino è un intonso repertorio di dettagli pontiani, frutto di un modus operandi che gli addetti ai lavori definiscono con rispetto e nostalgia vecchia scuola. È un progetto assolutamente unitario dalle fondamenta alla distribuzione interna, senza dimenticare ogni finitura e arredo: del resto lo staff che lo ha firmato è lo stesso del celebrato parente milanese. Il prospetto principale è così coperto in ceramica per rivestimento Joo, gli infissi esterni a filo sono in alluminio anodizzato. Negli interni, Ponti ribadisce alcuni suoi tipici temi di quegli anni: i serramenti con maniglie (da lui firmate) tutte uguali (produzione Olivari), i pavimenti in marmo, graniglia, rivestiti di linoleum. Per l’auditorium progetta più tipologie di illuminazione: lampadari in ottone a forma di sole (prodotti da Arredoluce), applique e lampade da terra in alluminio anodizzato con luci a incandescenza Linestra (prodotti da Candle). Le sedute sono di Arflex. Difficile prevedere la prossima puntata di questa storia. E forse, un po’ di suspense non guasta. Di sicuro, tra coloro che tifano per il lieto fine ci siamo anche noi.

Related Articles