Slow Fashion, cos'è e perché è il futuro della moda

Slow fashion: che cos'è? L'Enciclopedia Treccani definisce lo Slow fashion come “locuzione coniata da Kate Fletcher nel 2007 applicando al settore moda le suggestioni del

movimento slow food di Carlo Petrini, con l'idea di difendere le buone pratiche che intendono porsi come controproposta e antidoto, se non proprio in aperta opposizione, alle derive della produzione industriale. Slow fashion ha anche una sua precisa collocazione in opposizione a fast fashion, cioè a quel sistema produttivo e culturale che è nato dalla crisi del prêt-à-porter e dai processi di globalizzazione della moda. In entrambe le accezioni la «moda lenta», si riferisce a pratiche di ideazione, produzione e consumo di moda che si pongono in alternativa ai sistemi dominanti. Tuttavia, nel primo caso, come trasposizione da slow food, è più evidente e immediato il collegamento con il fenomeno che va sotto la denominazione seppure ampia dimoda eticaemoda sostenibile, mentre nel secondo caso si riferisce più genericamente a modalità di tipo artigianale, e in piccole quantità, di produzione di capi di moda e accessori. Spesso le due accezioni coincidono, seppure presentino sfumature concettualmente diverse. La sostenibilità cui entrambe si riferiscono ha nel primo caso una chiara derivazione dai movimenti di critica della cultura dei consumi e si apparenta dunque alla moda critica, mentre si riferisce più genericamente alla qualità nella fattura e nei componenti di un prodotto rispetto alle grandi quantità prodotte dall’industria dell’abbigliamento su larga scala, nel secondo caso”.

Un tema molto complesso ma anche un obiettivo emerso con urgenza durante la pandemia: tutti siamo stati messi di fronte alla necessità di rallentare, di fermarci e di riflettere anche per quanto riguarda la moda: davvero ci servono tutti quei capi nel nostro armadio? La risposta che diamo e che daremo farà la differenza per il futuro del pianeta

In attesa di aprire le porte del nostro guardaroba e di scoprire i capi e gli accessori che saranno protagonisti dell'armadio sostenibile del 2030 - capi con fibre innovative, capi pre-loved, capi virtuali, tra gli altri - il rallentare in termini di moda può essere un ottimo passo. Per esempio, scegliendo capi artigianali e prodotti con tecniche slow come gli abiti di Arturo Obegero e la maglieria di Babaà, l'intimo di Chité e il denim di Blue of a Kind, … Sono sempre di più i brand che abbracciano la sostenibilità come potete scoprire nelle pagine di Vogue Talents dedicate

Ma anche dando una nuova vita a un capo che non usate più ma a cui siete affezionati, come succede con il progetto Decontoured o ancora scegliendo di “vivere” un capo in modalità slow, utilizzandolo molte volte, come suggerito dal progetto WearMe30Times. L'iniziativa, ideata dal brand Maakola e da Genuine Way, società che si occupa di certificazione di sostenibilità, si propone di mettere consumatori e brand nelle condizioni di agire insieme a tutela del Pianeta, proponendo un uso di ciascun capo che vada oltre le 5 settimane stimate di permanenza dell'armadio medio di ciascun capo. Secondo McKinsey & Company, infatti, se nel 2014 la vendita di prodotti di slow fashion è aumentata del 60% rispetto al 2010, la durata della loro vita è stata ridotta di più della metà.

Nel 2016 Livia Firth aveva lancia una campagna di successo, chiamata 30Wears, che suggeriva al consumatore ad utilizzare un capo in media 30 volte perché questo utilizzo sia ecologicamente sostenibile.

Nel 2020 l'idea viene rilanciata con WearMe30Times attraverso una gamification che permetta a ciascun brand aderente di coinvolgere i propri consumatori nel contare quante volte usano un capo e ai consumatori di essere premiati dal brand stesso per il raggiungimento dei 30 utilizzi.

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