Nuova puntata della ricognizione tra i progetti dedicati alle architetture di montagna pubblicati su Casa Vogue, mentre le speranze dei molti sciatori sembrano subire quotidiane
Carlo Mollino al Breuil, 1936.
A venticinque anni non sapeva bene neanche lui cosa gli avrebbe portato, né quanto l’avrebbe cambiato, quell’estate spesa al Breuil schizzando vetuste casette in legno, chine sotto il peso del tempo e dei tetti di pietra. Carlo Mollino aveva vinto una borsa di studio per il viaggio al Breuil-Cervinia, a dorso di mulo o, in alternativa, a piedi. Nel 1930 Cervinia non esisteva ancora. La carrozzabile terminava a Valtournenche. Affrontata la salita, la conca del Breuil s'apriva come un miracolo a quota 2000 metri: intonsa da millenni, i boschi di larici e i laghetti, le poche baite disperse a gruppetti, dominate dalle rocce a strapiombo del Cervino, la Grande Becca. Anni dopo, tra il 1946-47, quell’esperienza maturata in silenzio come una bottiglia d’annata al fresco di una cantina, s’aprì e concretizzò in una sequenza serrata di progetti che diedero forma al peculiare linguaggio molliniano per l’architettura di montagna: una felice comunione di tradizione e modernità. Il progetto più esuberante è la Casa Capriata, del 1947.
Progetto della Casa Capriata, 1947-1953.
Una villetta di legno in aggetto panoramico, il fronte sostenuto da un pilastro in cemento armato, sagomato come la sezione di una colonna vertebrale. Mollino sa essere esuberante, ma mai gratuitamente. La forma di quel sostegno è logica, strutturalmente corretta come l’intera casa, un essenziale triangolo in legno. La costruzione è studiata come un prefabbricato da ripetersi in serie, una “scatola calda” e ben isolata, da poggiare a piacimento su terreni montani di ogni pendenza. Il tetto molto inclinato sostituisce le pareti laterali e non deve sostenere la neve; è “una costruzione leggera in legno” in cui le quattro capriate assemblate con tavole di sei centimetri di spessore reggono tutto. Scendendo nel dettaglio dei suoi schemi costruttivi comprendiamo a cosa gli servirono quei rilievi di tradizionali abitazioni della Valtournenche e della Valle di Gressoney. Un complesso, ingegnoso puzzle di incastri e sovrapposizioni di assi costituisce un grande meccano, coincidente con lo scheletro della casa; come avrebbe potuto pensarlo un ingegnere o un costruttore di baite valdostane, che in passato lavorava portando con sé l’esperienza affinata in secoli di pratica quotidiana.
Progetto della Casa Capriata, 1947-1953.
Mollino è abile nel tradurre un sistema costruttivo che era fatto di lavoro manuale e intagli, senza chiodature, in un moderno sistema assemblabile di pezzi lavorati a macchina. Non è solo questione di tecnica. L’impressione che si riceve della casa, e dai magistrali schizzi prospettici, è quella di un aliante pronto al volo. Un’idea che intuiamo discendere da quei rascard valdostani da lui disegnati e studiati, le baite-magazzino sospese in aria su funghi in legno o pietra a proteggerli dai roditori. Mollino “vede architettura” negli sgangherati granai, li trasfigura in macchina abitativa di estro modernista. Utilizzando per esempio quelle gronde sporgenti, usuali in Savoia, che fissa sotto al piano del terrazzo come avveniristiche rastrelliere lanciarazzi agganciate ad ali; o aggettando il triangolo superiore del tetto a dare slancio (e proteggere il terrazzo sottostante) mentre poggia la casa asimmetricamente sul lato del terrazzo a creare equilibri instabili e movimento. Compone una geometria pungente che dalle antiche costruzioni lignee eredita l’aspetto epidermico fatto dalla texture di travature accostate a linee, sporgenti, intersecantesi a perpendicolo sulle tre direzioni. L’interesse di Mollino per l’architettura montana non si spiega senza considerare la sua passione di uomo per lamontagnae lo sci. Dal 1942 è maestro della Federazione italiana sport invernali, nel ’50 pubblica il volume di tecnica sciistica “Introduzione al discesismo”. Nelle prospettive di interni e degli edifici non dimentica quasi mai di appoggiare da un lato un paio di sci, a ricordare che quelle case sono fatte per il dinamismo asciutto dello sportivo. Non a caso Mollino, subito dopo la guerra, è direttamente coinvolto nello sviluppo delle stazioni invernali di Sauze d’Oulx in Val di Susa e di Cervinia. Sull’esempio del senatore Agnelli, che dal 1932 aveva costruito le prime funivie italiane al Sestriere, l’ingegnere Dino Lora Totino crea dal nulla Cervinia, costruendo tra il 1935 e il 1939 le funivie più alte e lunghe al mondo.
La slittovia del Lago Nero, 1946-47. Foto courtesy Michele Biancucci.
A Sauze d’Oulx, Piero Dusio, proprietario della casa automobilistica Cisitalia, inizia un sistema di impianti di risalita che avrebbe dovuto collegarsi con quelli del Sestriere. Se la Casa Capriata rimane sulla carta, Mollino realizza a Sauze, tra il 1946-47, la Stazione di arrivo del Lago Nero, uno dei suoi capolavori, oggi restaurata e visitabile: un rifugio e stazione di arrivo per una grande slitta con cui gli sciatori venivano trainati fino ai 2200 metri di partenza delle piste. Riuscito connubio di cemento armato e legno, la costruzione è celebrata per l’inusuale plastico incrocio di un tetto a due falde con uno a falda unica, che rende le quattro facciate del rifugio ciascuna diversa dall’altra. A Cervinia il compito da risolvere è di quelli affrontati dai grandi architetti dello stile moderno. Lora Totino, per sostenere lo sviluppo turistico, chiede a Mollino di progettare un residence con negozi, ristorante, sala da ballo, lavanderia, garage interrati.
Schizzo per la Casa del Sole.
Un edificio in cemento armato funzionale ed economico, da costruirsi su un fazzoletto di terreno scosceso, vicino alla funivia. La soluzione ideata nel 1947 è una torre di nove piani che si eleva come la ridotta dei tanti castelli valdostani, ma sormontata da una capanna di legno. Più che sulla forma dell’edificio, Mollino lavora sulle superfici per smaterializzarle. Le feritoie delle finestre fendono le pareti, le balconate sporgono a confondere i contorni dell’edificio. Il rincorrersi di travi che nelle case tradizionali alpine sostengono i balconi è ripreso in facciata per creare uno schermo, cartesiana griglia in cemento, che ne approfondisce la superficie con giochi di luci e ombre.
Disegni realizzati da Carlo Mollino durante la sua vacanza studio, 1930.