Molto probabilmente anche voi avete un/a amico/a (reale o virtuale che sia) che durante le vacanze ha deciso di prendersi una pausa dai social media
Non è solo la frequenza con cui postiamo e la gratificazione dopaminica dei ‘Like’ ad aver riacceso il dialogo sulla questione (magari aiutato dall’uscita su Netflix di un documentario come The Social Dilemma). Il movimento della giustizia sociale di nuova generazione e le attuali difficoltà economiche causate dalla pandemia ci hanno costretto a riesaminare il valore delle emozioni e dei sentimenti che condividiamo sui social. Come osservava a settembre dell’anno scorso Naomi Shimada, co-autrice di Mixed Feelings: Exploring the Emotional Impact of our Digital Habits (Quadrille, 2019), era “come se ci fosse stato un qualche esorcismo”.
Ma qual era il demone spirituale da scacciare via? La cultura della popolarità (dall’inglese ‘clout culture’).
“Tra gli impatti sociali del coronavirus vi è appunto il rapido smantellamento del culto della celebrità”, scriveva a marzo 2020 Amanda Hess, critic-at-large del New York Times. “I famosi sono ambasciatori di meritocrazia: rappresentano la ricerca tipicamente americana del successo tramite il talento, il carisma e il lavorare sodo. Ma il sogno della mobilità sociale scompare quando la società si blocca (come nel caso del lockdown), l’economia va in stallo, il numero dei morti aumenta di giorno in giorno e il futuro di tutti viene messo in stand-by dentro appartamenti troppo affollati o ville sfarzose”.
Ma passiamo a gennaio 2021 dove, sullo sfondo di critiche continue alla cosiddetta “cultura da influencer” e di una generalizzata presa di coscienza delle conseguenze per la salute mentale di un utilizzo prolungato dei social media, per molti di noi, la quantificazione settimanale delle ore trascorse davanti ai vari schermi è un promemoria che ci fa riflettere su quanto – collettivamente – facciamo affidamento su questi universi virtuali.
Ma non tutti scelgono di far parte della folla.
Nei circoli della moda, la nozione stessa che alcuni dei talenti più noti del settore non desiderino essere personalità (social) mediatiche è sufficiente per alimentare il glamour mitizzato di cui si nutrono gli account di fan online. Un esempio? Le fan page @MaryKateAndAshleyO, @MKAstyle e @MyStyleMKAOlsen pubblicano scatti dei paparazzi delle gemelle Olsen, eppure le fondatrici di The Row hanno deciso già tempo fa di proteggersi da qualsivoglia tempesta (social) mediatica.
“Non navighiamo quel grande oceano che sono i social media e non abbiamo Facebook. Non ci siamo mai relazionate ai nostri fan in quel modo”, dichiarò Ashley Olsen nel 2017. "Siamo rimaste piuttosto protette in quel senso”.
La filosofia della ‘privacy innanzitutto’ della designer britannica Phoebe Philo — icona della coolness post-internet – si è spinta oltre. In un’intervista per Vogue US del 2013, la stilista dichiarò “la cosa più chic è quando non esisti su Google. Quanto vorrei non esserci io!” Su Instagram, a rendere omaggio ai suoi successi di dominio pubblico vi sono @PhoebePhiloDiary e @OldCeline (ora non più un account privato).
Fatto questo preambolo, non dovrebbe sorprendere che, la prima settimana del 2021, Daniel Lee, ex pupillo di Philo (nonché ex design director del prêt-à-porter a Céline) e attualmente direttore creativo di Bottega Veneta abbia deciso di ‘staccare la spina’ agli account Instagram, Facebook e Twitter del brand. Da persona ultra riservata qual è, lo stilista, artefice di creazioni che marciano a suon di milioni di ‘Like’ alle mani (e ai piedi) di star come Rosie Huntington-Whiteley, Hailey Bieber e Kylie Jenner, non ha un profilo Instagram e, nel tempo libero, preferisce godersi spettacoli di danza classica e contemporanea. Avete bisogno di altri indizi che dimostrino la sua passione per l’era pre-internet? Eccone un altro: il vinile verde felce che accompagnava i tre volumi patinati che assieme formavano lo ‘show in a bag’ a presentazione della collezione primavera estate 2021.
“È stato bello crescere nell’era pre-Instagram: ci divertivamo molto”, dichiarava Lee nel numero di Ottobre 2019 di Vogue UK. “Sarà interessante vedere cosa accadrà in futuro. Io credo che ci sarà un ritorno alla privacy. Lo spero davvero”.