Hevō: intervista al founder e owner Mauro Gianfrate

Mauro Gianfrate, come può ripartire ilmensweardopo un anno come il 2020?
Ci auguriamo che si possa presto tornare a una nuova normalità. Dal punto di

vista politico credo che il menswear, così come altri settori e segmenti, possa riprendersi solo con un cambio di politiche economico-finanziarie con fondi dedicati alla ripartenza e ai piccoli, nuovi progetti, con una liquidità pronta e veloce. Penso anche che le banche debbano essere al servizio di tutte le imprese e non solo di chi può già permetterselo. L’azienda che guido, che è di piccole-medie dimensioni, fa parte di un tessuto sociale molto importante che non va dimenticato né trascurato perché l’Italia è fatta principalmente di realtà come la nostra, di artigiani, di realtà specializzate che sono la forza e il vanto del Paese. Dal punto di vista della filiera, credo possa ripartire solo facendo sistema. Penso che il ruolo delle fiere debba essere totalmente rivisto. Non credo che si tornerà presto a vivere le fiere come si faceva prima, anzi credo che proprio nulla tornerà come prima. Ritengo piuttosto che ciò che è successo stia solo accelerando qualcosa che sarebbe stato inevitabile, forse con tempi fin troppo lunghi. Credo che le fiere debbano mettersi al servizio delle aziende, come creatori di appuntamenti, incontri e scambio. Debbano fare networking. Certo, lo facevano già, ma one to one. A mio avviso, invece, ogni fiera dovrebbe sfruttare la sua potenza comunicativa, il suo conoscere buyer e negozi e metterli al servizio di tutti come un’agenzia di booking agevolando l’incontro tra realtà affini. Tutto questo, magari, in un’unica città e in un lasso di tempo più lungo dei canonici tre giorni.

Com’è cambiato il vostro modo di lavorare e progettare? Ci sono nuovi strumenti che non pensavate di utilizzare e ora sono parte del vostro quotidiano? Cosa pensa tornerà come prima nel vostro business e cosa invece non sarà mai più lo stesso?
Il nostro modo di progettare non è poi cambiato così tanto, da sempre facciamo molta ricerca e siamo proiettati verso il futuro e l’“oltre”. Abbiamo uno stile, un’anima, un imprinting davvero molto forti che vanno oltre i cicli stagionali della moda. I nostri capi sono timeless nello stile, nei materiali, nella fattura. Anche i colori, oserei dire, sono al di sopra delle tendenze quindi questo nostro modo di pensare e progettare non è stato stravolto. Il nostro modo di lavorare e vendere è invece inevitabilmente cambiato. Abbiamo visto un’impennata, giocoforza, del virtuale per poter raggiungere clienti, fornitori, consumatori finali. Per questo ci siamo mossi fin da subito per avere un virtual showroom gestito direttamente da noi che ci permetta di essere più flessibili, agili, tempestivi e capillari anche se manterremo sempre le tempistiche di presentazione canonica delle collezioni con una pre a novembre per l’Asia. Questo naturalmente ci permette di continuare a mantenere i rapporti e il contatto con le persone. Già il mondo stava andando in questa direzione, abbiamo solo avuto un’accelerazione inaspettata. La digitalizzazione è e sarà sempre più protagonista, ma certamente il contatto, il faccia a faccia, uno scambio di sguardi, il toccare con mano un capo sono insostituibili. Anche perché la moda è emozione, una scintilla che scatta tra te e il capo che hai davanti.

Cosa salverebbe di questi 12 mesi?
Di questi mesi non salverei proprio nulla se non la componente umana di chi come me e i miei collaboratori in azienda si è rimboccato le maniche per affrontare e gestire questo momento.

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