Fran Lebowitz: chi è la protagonista del documentario “Una vita a New York”

Fran Lebowitz, 70 anni la maggior parte dei quali vissuti a New York, è la protagonista di “Fran Lebowitz. Una vita a New York”, il

documentario diNetflix che Martin Scorsese ha dedicato a questa scrittrice, umorista e opinionista (nonché sua amica di lunga data).\

Il libri e le interviste

Molto nota negli Stati Uniti, Fran Lebowitz ha scritto due libri di successo: Metropolitan life e Social studies ed è una presenza fissa dei talk show più divertenti d'America. Nel suo curriculum vanta anche il titolo di ex columnist di Interview, la famosa rivista di Andy Warhol, nata intorno ai frequentatori del Greenwich Village.

Gli inizi

Da ragazza, per mantenersi nella proibitiva New York dei Seventies, ha fatto le pulizie e soprattutto ha lavorato come taxista, unica donna in mezzo a centinaia di autisti uomini. Tutti intorno alla mezza età - racconta Fran nel documentario - e tutti di origine ebrea, con famiglie numerose e un sigaro sempre in bocca.

La New York di oggi

Fran Lebowitz. Una vita a New York (titolo originale: Pretend it's a city) ci mostra la Fran di oggi e attraverso il suo sguardo ci fa viaggiare nel tempo, ripercorrendo 40 anni di cambiamenti della città e della società. Alcuni dei quali proprio non le vanno giù: per esempio, Fran si rifiuta di usare il cellulare e nel documentario racconta di essere l'unica newyorchese rimasta che guarda davanti a sé mentre cammina. Tutti gli altri, dice, hanno gli occhi perennemente incollati sullo smartphone.

Lo stile

Inconfondibile grazie al bob di capelli neri con la riga in mezzo, Fran ha adottato un outfit-divisa che ne fa un altro tratto distintivo: blazer (e in caso di freddo, cappotto) e camicia maschili Brooks Brothers, gemelli (ne ha anche un paio realizzati da Alexander Calder), Levi's 501 e stivali texani (alternati a stringate da uomo).
Qualche anno fa, ha raccontato con Vogue Italia come ha costruito negli anni il suo stile: vi riproponiamo l'intervista, a firma di Grazia D'Annunzio.

Fran Lebowitz

È l’opinionista più irriverente, sarcastica e pungente che l’America vanti da quarant’anni a questa parte. Osserva il sociale, gli avvenimenti politici, le mode e i trend con occhio disincantato e feroce, condito di un irresistibile umorismo Jewish. Ha un cuore che batte a sinistra, anche se è una non allineata. Diciamolo: in un mondo dove tutto cambia, Fran Lebowitz rappresenta una sicurezza, una certezza, un punto fermo. Qualsiasi argomento le proponi, sta’ pur certo che sarà in grado di commentarlo con quell’ironia intelligente e spietata che da sempre è il suo marchio di fabbrica. Per questo continua a tenere conferenze in giro per gli States ed è invitata a innumerevoli talk-show, e per questo Martin Scorsese, che ha per lei un’autentica venerazione (l’ha anche ripresa nelle vesti di giudice in una scena di The wolf of Wall street), ha voluto dedicarle nel 2010 il documentario Public speaking e lo scorso gennaio l’ha intervistata alla Brooklyn Academy of Music, registrando il tutto esaurito (per la cronaca, era una domenica sera e il termometro segnava meno otto).

Autrice di due libri, Metropolitan life e Social studies, continuamente ristampati e divorati dalle giovani generazioni, Fran soffre da tempo di un writer’s block: "Scrivere, per me, non è né facile né divertente", mi ha detto una volta. Quando lo fa, usa un quaderno e delle matite ben appuntite e si guarda bene dall’avere un computer (o uno smart­phone), perché della tecnologia e dei suoi progressi se ne infischia. In queste quattro decadi è rimasta fedele a se stessa e alle sue abitudini: sessanta sigarette al giorno, fumate con lo stesso, intenso piacere; acqua minerale come unico drink; metropolitana usata come mezzo di trasporto prediletto. Anche il suo stile, identico da quando aveva vent’anni, "è di sicuro l’opposto della flessibilità e ha molto a che fare con la testardaggine".

Una giovane Fran con Andy Warhol 

© Andy Warhol e Fran Lebowitz

Ecco, al riguardo, un florilegio di ciò che ci ha confessato: "Mi vesto con jeans e blazer, e ci sono pezzi per me fondamentali che penso dovrebbero sempre essere disponibili sul mercato. Invece no. Prendi le camicie button-down della Brooks Brothers: identiche per un secolo, fino al 1996, quando qualcuno ha deciso di rovinare tutto. Mi avessero scritto, avrei comprato il rimanente. Macché. Idem dicasi per i jeans. Ho sempre portato i Levi’s 501. Avevo trovato un modello che mi stava a meraviglia, e hanno smesso di produrlo. Nei Levi’s di velluto, poi, hanno introdotto un due per cento di poliestere, e io durante un’intervista radiofonica mi sono lamentata pubblicamente. Risultato: il vicepresidente della compagnia mi ha chiamata in diretta, dicendomi che con il sintetico i pantaloni non si stropicciano. Ho risposto che a me non andava bene e che potevano telefonarmi in anticipo… Quando hai un vestito su misura, non puoi più indossare nient’altro. La mia sartoria è Anderson & Sheppard, si trova a Londra ed è famosa per l’abbigliamento maschile. All’inizio, non volevano saperne di farmi una giacca, perché sono una donna. E siccome avevano avuto Marlene Dietrich come cliente, ci sono rimasta male. È stato Graydon Carter, il direttore di Vanity Fair Usa, a convincerli. Tra prove ed eventuali ritocchi, per un abito aspetto anche un anno e mezzo. È l’unica goccia di ottimismo che ho nella vita: sperare di vivere per poter indossare un capo che per essere pronto ci mette un’eternità".

Fran Lebowitz, da Vogue Italia, settembre 2014, n. 769, p.376

Ritratto in apertura: Brigitte Lacombe per L'Uomo (maggio 2020)

Fran Lebowitz fotografata da Brigitte Lacombe per L'Uomo (maggio 2020)

© Brigitte Lacombe

Related Articles