Generazioni a confronto: Michele Serra per L'Uomo

Prima del Covid almeno due fenomeni rilevanti – l’allungamento della vita media e la questione climatica – hanno creato terreno fertile per l’antagonismo tra generazioni.

Che esiste dall’alba dei secoli soprattutto su basi etologiche (i giovani del branco che dicono ai vecchi: fatti da parte che arrivo io). Ma minaccia di assumere anche una forte componente economica e politica.

Il pensionato a oltranza, in ottima salute e di eccellente umore anche dopo la fine della sua vita lavorativa, è diventato oggetto di febbrili calcoli sulla sostenibilità del Welfare. Gli stormi di charter carichi di vecchi in viaggio verso i Caraibi, il Mar Rosso, il Mediterraneo, sono una delle più spettacolari, allegre e redditizie novità dell’Evo dei Consumi, ma ci sono ministeri, autorità sanitarie, istituti di previdenza per i quali il prolungarsi della vita media costituisce soprattutto un vertiginoso aumento dei carichi economici. Disoccupazione e sotto-occupazione giovanile non aiutano a far quadrare i conti delle varie casse assistenziali, le cui entrate sono sempre più incerte e le cui uscite augurabilmente in aumento, perché i vecchi campano sempre più a lungo, e il fatto che la vecchiaia sia un destino comune sconsiglia anche ai più cinici di augurarsi il contrario. 

In molti paesi occidentali l’oggettiva sperequazione tra le garanzie dei vecchi, spesso conquistate con dure lotte sindacali, e la precarietà economica dei giovani, che vedono un futuro con poco Welfare e molta incertezza, è un argomento decisamente spinoso per sindacati e partiti politici: il rischio che “ricco e povero” e “vecchio e giovane” diventino categorie quasi coincidenti è tutt’altro che teorico.       

Quanto alla questione climatica, il baby boomer ingordo e imprevidente, consumatore del pianeta a scapito dei suoi figli e nipoti, è il bersaglio anche troppo facile del nuovo ambientalismo giovanile. Ok boomer, hai banchettato con il pianeta e ci hai lasciato solo i piatti da lavare. Milioni di Grete e Greti chiedono agli adulti il rendiconto di uno sviluppo cieco e sordo (il “progresso scorsoio” nominato dal grande poeta veneto Andrea Zanzotto, che vide la sua regione arricchirsi a dismisura, e abbrutirsi di pari passo mano a mano che le foreste di capannoni industriali soffocavano il paesaggio). 

Di questa way of life spensierata, per la verità, milioni di ragazzi sembrano piuttosto partecipi quando animano le interminabili movide (a pagamento, e spesso non di tasca propria) che in tutte le città europee attirano eserciti di studenti e giovani professionisti. Ma il giorno dopo, magari nella stessa piazza, lo spritz e la birra lasciano il posto ai cortei con borraccia, quella borraccia che in tutta Europa è diventata l’icona dell’ambientalismo di massa, il nuovo Che Guevara non deperibile che combatte l’usa e getta, lo scialo, l’insensibilità ecologica. È possibile che siano in parte gli stessi ragazzi quelli che alla sera brindano al proprio divertimento e al mattino diventano le body-guards di un pianeta sfinito. Una volta si chiamavano “contraddizioni in seno al popolo”.

Poi venne il Covid. Che sembra progettato apposta per aprire un nuovo, diabolico fronte di lotta tra vecchi e giovani. Un virus che cammina sulle gambe dei giovani, approfittando della loro energica promiscuità, ma uccide quasi solamente i vecchi: l’untore non corre gli stessi rischi della vittima, come accadde per le grandi pestilenze del passato. Nella maggior parte dei casi l’untore è un insospettabile, sano nipote che rischia, nel 99 per cento dei casi, solo un malanno passeggero, e sopprime la nonna dandole il bacio della buonanotte, o contagia l’anziano professore di letteratura recitandogli Whitman o Leopardi da un metro di distanza e con particolare foga oratoria (è uno studente preparato). 

Illustrazione di Yann Kebbi. 

È il soggetto ideale per un romanzo distopico o per una serie fantasy di raffinata ferocia, ed è davvero strano che tra le tante ricostruzioni complottistiche, quasi tutte ugualmente idiote, nessuno abbia pensato a una congiura mondiale architettata da una società segreta di under trenta per liberarsi degli over sessanta. Non sarebbe una teoria più inverosimile di tutte le altre, che paiono il remake grottesco di vecchie paranoie: i cinesi subdoli e malvagi come il feroce Fu Manchu, Soros e i poteri forti che sogghignano preparando provette genocide per decimare il genere umano e ridurre in schiavitù i superstiti, scienziati pazzi che come nei film degli anni Venti (non questi, i precedenti) sogghignano e tramano nel loro antro e poi perdono il controllo delle loro invenzioni distruttive, il ministro delle Finanze e quello della Sanità che, di comune accordo, fanno spargere il virus dagli aerei per falcidiare i vecchi e alleggerire i conti pubblici. 

In Italia, con il riesplodere della cosiddetta “seconda ondata” d’autunno (in realtà, il rinfocolarsi della precedente ondata primaverile a causa della ridente promiscuità estiva), si sono avute avvisaglie pesanti di questa guerra strisciante tra generazioni. Con opposte recriminazioni, e lamenti più o meno autorevoli, petizioni allarmate, raccolte di firme. I giovani costretti alla clausura e privati della socialità scolastica e ricreativa a causa di regole e leggi fatte a misura dei vecchi. I vecchi spaventati dall’incoscienza giovanile, dalle danze estive (animate, per la verità, anche da legioni di coppie in andropausa e menopausa), dall’incauto procedere della vita che è così tipico della prima età, quando sono gli ormoni, più delle autorità costituite, a organizzare la vita individuale e sociale.

Ecco, gli ormoni. Sono soprattutto gli ormoni che portano a concludere che, al netto delle accuse sgradevoli, delle insofferenze reciproche, delle cattive abitudini, c’è una evidente percentuale di oggettività, nella discussione in corso. Vecchiaia e giovinezza hanno necessità differenti, ne conseguono bisogni e abitudini differenti. La clausura pesa meno a chi ha già potuto vivere i suoi anni promiscui, già sperimentato i suoi eccessi. Mentre chi si affaccia alla vita ha urgenza di viverla, impazienza di consumarla. La frenesia dei giovani e l’incolumità dei vecchi, nelle attuali circostanze socio-sanitarie, non sono facili da conciliare, e non per egoismo o superficialità, ma perché la vita ha un’inerzia invincibile, spesso sorda e cieca. E questa inerzia, in tempi di contagio, è tutta a svantaggio dei vecchi e della loro fragilità. 

È, la disparità di condizione tra vecchi e giovani, una della componenti inevitabili della catastrofe chiamata Covid. Diciamo meglio, una delle sue componenti naturali. Come lo spillover tra pipistrello e uomo (da bestia in bestia), come la tendenza del virus a usare i corpi altrui per vivere e moltiplicarsi, e farlo in maniera transnazionale e interclassista (il virus non fa politica), come lo spavento e il dolore che la malattia e la morte ci procurano. Allo stesso modo noi vecchi – sto arrivando: viaggio verso i settanta - siamo oggettivamente più vicini alla morte rispetto ai ragazzi, e meno resistenti a questo e altri assalti virali e batterici. È così che vanno le cose. Così va la vita, avrebbe detto Kurt Vonnegut.

Non sto dicendo che va assolto chi se ne frega delle disposizioni e se ne va in giro senza mascherina. O che va assolto il governo (i tanti governi) che hanno sottostimato il virus e omesso di prendere i provvedimenti necessari, specie quelli più impopolari. Non sono fatalista. Sto dicendo, al contrario, che proprio la quota di inevitabilità del Covid (e del dolore, della sofferenza, della morte) rende più gravi, e inammissibili, gli errori evitabili che commettiamo. Uno di questi errori, a parte qualche macroscopica falla sanitaria, e una perdurante e intollerabile differenza di cura e di tutela a seconda del proprio reddito, è l’ossessione di trovare spiegazioni facili. Tanto facili da consentire, individuato il colpevole, di cancellare il Male. 

Non funziona così. La natura, lo stiamo imparando anche a nostre spese, è un insieme complicatissimo di relazioni e di conflitti dentro il quale ci sta perfettamente anche il diverso peso che un coronavirus può avere nella vita delle persone a seconda della loro età. Non per questo è utile sindacalizzare le età della vita, far nascere un Sindacato dei Giovani, tutto scuola e movida, e una Corporazione dei Vecchi, tutta lockdown e prudenza. Molti giovani, disobbedendo agli ormoni, sono stati, nella clausura, disciplinati e gentili, e molti vecchi li hanno risarciti con largo anticipo sovvenzionando con le loro pensioni e i loro risparmi i drink e le vacanze dei nipoti. Match pari: potrebbe essere un verdetto equo per chiudere la partita. 

Da L'Uomo, n. 10, febbraio 2021 

Related Articles