Come gestire i figli i DaD e lo smart working: una storia vera

Video conferenza su Zoom n. 3 della giornata, secondo giorno, terzo lockdown o giù di lì. Mia figlia ha riattivato l’audio del mio laptop più

velocemente del mio ‘No! ’ dichiarando a tutti i miei colleghi ‘Quello che dici è noiosissimo’ (e sorprendentemente, ha avuto un effetto di gran lunga migliore del PowerPoint che stavo presentando). Dopotutto, il fatto che una bambina di cinque anni sia in grado di agire quel genere di ‘insolenza’ durante una riunione virtuale, prima delle 9.30 di mattina, con addosso un pigiama rosa con stampa unicorno, non è cosa da poco.

Il Covid-19 ha cambiato il mondo del lavoro in maniera a dir poco sconvolgente. Le nostre vite private (a casa) e lavorative (in ufficio) sono entrate in collusione e quella cortina che le separava è diventata obsoleta e fuori uso. Gestire questi due mondi richiede un delicato equilibrio e in qualche modo ce l’abbiamo fatta. Ora sappiamo che aspetto ha la carta da parati della casa di Lee, dell’Ufficio Risorse Umane. Abbiamo fatto 10 mesi senza nemmeno un evento che giustificasse l’esistenza della nostra amata collezione di scarpe. (E qui vorrei estendere un ringraziamento speciale a Netflix per Tiger King e Bridgerton, una vera e propria forma di terapia). Milioni di persone sono a casa mentre gli eroi della pandemia lavorano in prima linea, negli ospedali, nella case di cura e nei supermercati. Ma sono le vite dei nostri bambini, e i loro anni formativi, a essere state interrotte in maniera incommensurabile.

L’Università di Oxford ha scoperto che, dopo aver trascorso un mese in lockdown, i genitori e chi si occupa di bambini di un’età compresa tra i 4 e i 10 anni, aveva notato un incremento dei comportamenti negativi della sfera affettivo-emotiva, come irrequietezza, preoccupazione e attaccamento. Le motivazioni sono facili da intuire per un adulto: le scuole sono chiuse e sono state sostituite da fogli di compiti mentre i bambini più piccoli ‘pedinano’ i genitori che si tengono stretti il loro Mac Book neanche si trattasse di un giubbotto di salvataggio. Le aree gioco al parco sono recintate con nastri bianco rossi di divieto in quanto si ritiene che altalene e scivoli possano diffondere il virus. E la reazione dei nostri bambini è di confusione e pianti. Un tempo il tavolo della cucina era adibito ai pasti, alle attività ricreative o ai giochi di società mentre ora è illuminato, giorno dopo giorno, dal laptop di mamma o papà. “Ma cosa è successo alla nostra casa?” Deve essere questa la domanda che si fanno i bambini.

Da mamma single, mi sento come se fossi in un perpetuo stato di jetlag, con almeno 10 cose in più da gestire oltre alle 20 che già costituivano la mia normalità. La pressione non fa altro che aumentare e si accompagna alla solitudine e all’amara consapevolezza che se non me ne occupo io, le cose rimangono semplicemente non fatte. È questa la nuda e cruda realtà di ogni giorno. Eppure, in qualche modo, ti tiri su le maniche e vai a scavare dentro di te una determinazione da guerriera. Una tenacia invincibile per cui trovi energia e riesci a rendere il tempo più produttivo. Sì, ho pianto passando il mocio sul pavimento alle 9 di sera perché la situazione è dannatamente difficile.

Anche se - lo ammetto - penso che il lockdown mi abbia regalato anche qualcosa di molto bello: una sorta di tempo supplementare con i miei figli che crescono troppo in fretta. Nonostante la stanchezza e l’ansia che mi porto addosso, ci sono stati momenti in cui io e i miei due bambini ci siamo messi a ballare in cucina per dimenticare – almeno per un attimo – la tragicità delle notizie che costellano le giornate. Abbiamo pitturato sassi fuori dal nostro piccolo appartamento per dare colore alla speranza e quando la pioggia lo ha lavato via, li abbiamo ridipinti con colori ancora più brillanti. Abbiamo provato a fare dolci e abbiamo riso dei nostri esperimenti culinari falliti. Serata dopo serata, abbiamo letto storie con la torcia sotto le coperte. I miei figli mi hanno persino insegnato matematica. A quanto pare devo applicarmi di più.

“È questa la vera didattica a distanza, da casa. Solo che non immaginavo di essere io l’alunna”

Mi hanno ricordato com'è giocare con le Barbie per ore, costruire aquiloni e tane, dribblare, giocare con il fango, pitturare con le dita e creare fantastici bagni di schiuma e bolle di sapone ovunque. I miei bambini mi hanno insegnato a rallentare il ritmo – farlo davvero – e per i motivi giusti. È questa la vera didattica a distanza, da casa. Solo che non immaginavo di essere io l’alunna.

Su Twitter la psicoterapeuta britannica Philippa Perry ha pubblicato un consiglio brillante per noi nuovi educatori: “Lasciate che siano loro, i bambini, a insegnarvi qualcosa. Qualsiasi cosa. Userete il loro sistema come modello di apprendimento e ascolto. Inoltre, insegnare qualcosa a qualcuno li aiuta ad imparare quel qualcosa loro stessi. Questo è valido e utile per tutte le età”.

Consiglio ben accetto: chiudo il laptop, prendo in mano la matita dei miei figli e torno a scuola. Ottimo, il problema però è che non ho ancora l’abilità di clonarmi o di fermare il tempo e scindermi in tre versioni di me, con una che disegna un alfabeto per la mia secondogenita, una che fa matematica con mio figlio più grande e una terza versione che presenta una relazione al capo. Il tutto mentre tiri fuori un pranzo degno della Prova del Cuoco prima di aver completato una sessione di workout alla Jane Fonda anni 80.

Secondo l’UNICEF, “188 Paesi hanno imposto la chiusura delle scuole durante la pandemia, con conseguenze per oltre 1,6 miliardi tra bambini e adolescenti”. Un dato che fa riflettere, soprattutto abbinato al fatto che 463 milioni di bambini in età scolare non ha accesso alla didattica online. Quindi siate grate se il problema è che non riuscite a sentire il vostro interlocutore su Zoom a causa della lezione di alfabetismo informatico di vostro figlio. Dopotutto, noi siamo i fortunati.

Ma ecco un’altra statistica brutalmente attuale per chi è in grado di lavorare da casa: “Nei Paesi in via di sviluppo, la pandemia potrebbe portare altri 142 milioni di bambini a vivere in famiglie con povertà economica entro la fine dell’anno”. Per molti, non lavorare non è un’opzione, specialmente per le famiglie mono genitoriali come la mia. Ci sono state giornate in cui sono stata in grado di gestire il tutto come il giocoliere più esperto e altre in cui mi sono sentita cadere in mille pezzi. Non importa come siate riuscite a farvi strada in questa pandemia; se ci sono o meno macchie di pittura sul tappeto: se avete dato la priorità a chi aveva bisogno delle vostre coccole e delle vostre attenzioni, avete vinto voi. Avrete costruito un legame più forte con i vostri figli. E, molto probabilmente, il tappeto è più originale con quelle chiazze alla Jackson Pollock.

“I miei colleghi notano le ditate di colore sul mio colletto? Probabilmente sì, ma sono come una medaglia al valore per me”

Ho presenziato a video call rivelando, inconsapevolmente, quello che pensavo essere il mio mezzo busto professionale con tanto di camicia abbinato a un paio di pantaloni della tuta. Ops! Ma preoccuparsi per qualcosa del genere è un lusso che in giornate così piene semplicemente non ci possiamo permettere. Forse è un’altra di quelle esperienze ‘rafforza legame’ dove i colleghi possono vedere il mio aspetto più umano (e persino prendere atto dei miei trucchi di stile high-low, leggi professionale sopra/casalingo sotto) e io il loro. E magari non è nemmeno una cattiva idea!

È affascinante sentire che opinione si sono fatti i miei bambini rispetto a dove lavoro e cosa faccio. La gioia più grande è quando mi dicono “Mamma, a te piace davvero il tuo lavoro, vero?” e sapere che lo sto facendo per ‘noi’. Ora i miei figli sanno chi è ‘Mo dell’ufficio’ e che, segretamente, anche lui è fan di Peppa Pig. Il mistero di cosa facesse Mamma mentre loro erano a scuola non esiste più. Lo stesso vale per i miei colleghi rispetto alla mia vita domestica, anche se ora appare come un reality show senza né capo né coda.

Avevo iniziato la prima settimana del primo lockdown scusandomi, scioccamente, se i miei figli facevano rumore in sottofondo durante le riunioni. Avevo paura che non sarei riuscita a gestire il lavoro che mi assicura lo stipendio, le varie faccende domestiche e, cosa più importante, le mie responsabilità di Madre. Quel “Mi scusi per il rumore” durante le chiamate non mi sembrava giusto. Quindi l’ho sostituito con un “Grazie” ai miei figli per essere stati pazienti e ai miei colleghi per aver compreso che i miei bambini sono più importanti. Se i vostri figli vogliono dire ‘Ciao’ durante una riunione virtuale, lasciate che lo facciano. È questa la vita vera. Potrebbe essere uno step importante nel loro diventare individui sicuri di sé e dichiarare a un mondo feroce, dominato dal Covid-19 che “Ci sono anche io qui e sono importante”.

In tal caso, Maya…ti aggiorno più tardi a proposito di quel tabulato che mi hai inviato.

Saluti, la Mamma.

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