Alle 2 del pomeriggio di venerdì 5 febbraio, ora di Greenwich, il White Show della Central Saint Martins (CSM) ha inondato la pagina Instagram del
Niente sfilata nel campus del college, nessuna esibizione di stile personale, nessuna festa per gli studenti dopo lo spettacolo – ma non importa! Rifiutandosi di farsi defraudare dalla pandemia, questi ragazzi si sono fatti avanti con video, performance, interviste e documentari. Un intraprendente tentativo giovanile di superare i nuovi confini della comunicazione della moda – esattamente il punto in cui si trova l’intera industria della moda al momento.
Designer (da sinistra): Yuxi Tao, Siri Castres, Thomas Spooner e Jasmine Broadhurst. Fotografia di Justin Jensen
Le studentesse di promozione e comunicazione della moda Macey Kerrigan, Katie Hudson and Aïcha Sommer, tutte ventenni, hanno realizzato una rappresentazione in 3D del campus del college a King’s Cross, proiettando enormi immagini dei lavori di altri studenti di moda sulle pareti. Un progetto concettualmente all’altezza di quelli pagati dai grossi brand – fatto da tre ventenni con zero budget.
Un rendering 3D della Central Saint Martins di Macey Kerrigan, Katie Hudson e Aïcha Sommer
Questo solo per cominciare. La formazione sta cambiando velocemente e gli studenti sono come parafulmini per tutte le questioni con cui il mondo è alle prese. La Central Saint Martins, come altre università nel mondo, è stata scossa fino alle fondamenta dalle proteste studentesche a sostegno del movimento Black Lives Matter. Il capo del college Jeremy Till commenta: “Dopo la morte di George Floyd e le successive proteste e la ovvia indignazione per le ingiustizie presenti nella nostra società, sia la UAL (il polo universitario di cui la CSM fa parte) sia la CSM hanno sviluppato dettagliati piani anti-razzismo tramite i quali si è provato a riconoscere la sofferenza e il fardello emotivo che i nostri studenti e il nostro staff di colore hanno sperimentato”. Dopo aver consultato gli studenti e il personale, dice, il college si sta organizzando per “diversificare il corpo studentesco e i dipendenti e “decolonizzare” il curriculum. Comprendiamo il bisogno di riconoscere gli errori del passato”.
Designer dall'alto a sinistra: Adriano Iuliani, Chin-Hoa Chen e Oleg Ratnikov. Fotografia di Justin Jensen
Sotto: Jack Lambert, Jasmine Nelson e Spencer Carrol. Fotografia di Frankie Baumer and Cult Chan
Lo show ha presentato lavori che mixano temi come razzismo, colonialismo, genere, sessualità, sostenibilità e salute mentale durante l’isolamento. Gli studenti di giornalismo e fotografia – esercitando le loro abilità nell’editing e nel lavoro di squadra – hanno diviso la presentazione in tre temi. Essi riguardano la “supremazia della sorveglianza digitale,” un esame della realtà presente in cui pare di “vivere in un limbo permanente” e l’invenzione di metafore per una riconsiderazione di come dovrebbe essere la società: “Un’evoluzione di valori, un nuovo inizio, lontano dai disastri istituzionali e dallo scompiglio causato dalla pandemia di quest’anno”.
Designer Cameron Jukes. Fotografia di Solar Klinghofer Bar Dov e Max Kallio.
Ma come trasmettere tutto questo attraverso pochi metri di stoffa bianca, magari avendo a disposizione soltanto un paio di forbici e una pistola per colla? Cameron Jukes, una diciottenne britannica di origini giamaicane, ha fotografato il suo look, nato dalla fusione della storia della coltivazione del cotone e delle sue ricerche su Nietzsche, sulle rive del Tamigi. “Ho chiamato mia nonna, che è a capo della chiesa Black a Notthingham, e mi ha raccontato la storia del cotone. È permeata da un’atmosfera di orrore.” Ha dunque creato un vestito a spirale con delle sacche di cotone e si è caricata con il concetto di übermensch di Nietzsche: “Diventare il proprio dio”. Jukes sa esattamente qual è il suo scopo nello studiare la moda. “Il ramo giamaicano della mia famiglia è composto da persone fiere, sarti emigrati in Inghilterra sulla base di una falsa promessa e che hanno perso tutto,” dice. “Voglio restituire alla mia famiglia il rispetto di cui godevano.”
Designer Yodea Marquel Williams. Fotografia di Justin Jensen
La generazione Z sta andando verso una nuova spiritualità. Yodea Marquel Williams, 24 anni, che si identifica come nero, inglese e queer, ha espresso tutto questo con il suo primo progetto. La sua creazione è una visione del suo potente angelo, nato dalla fusione di anime, arte sumera e immagini bibliche. Descrive il suo angelo come un essere “che si muove tra regni, che è non-binario. Perché è quello che sono.”
Un’aspra critica alla “pirateria inglese, all’arte rubata e al colonialismo” è giunta da Dylan Yeung, 20 anni, che vede la questione con gli occhi della famiglia, cinese di Hong Kong. Il suo abito maschile con le spalle ampie si basa sull’uniforme di un marinaio inglese che sta “portando via di nascosto” un sacco a forma di vaso della dinastia Mong sotto la giacca. È il suo commento alla controversa questione circa la ‘proprietà’ dei tesori del British Museum, che sono stati ampiamente sottratti alla Cina come bottino – e a tutte le altre culture cadute sotto il dominio dell’impero britannico.
Designer Dylan Yeung. Fotografia di Solar Klinghofer Bar Dov e Max Kallio
Questo è solo un assaggio. Tutti qui possono esprimere la loro voce in egual misura. Il White Show è un grande livellatore e anche un grande elevatore. C’è di più dei singoli studenti che cercano di capire chi vogliono diventare attraverso le loro creazioni spontanee. Chiunque guardi questi lavori coglierà anche delle indicazioni su come le giovani menti creative sono decise a ridisegnare il futuro. L’industria della moda stia all’erta. È una premonizione.