Questa Non È Una Fotografia Di Moda. Ming Smith

Il Kamoinge Workshop, gruppo di fotografi black nato a New York nel 1963 «in risposta alla sottorappresentazione degli afroamericani nel campo della fotografia», è oggetto

ora di un’importante ed entusiasmante mostra al Whitney Museum of American Art (fino al 28/3). Radunando il lavoro a tutto campo di quattordici membri appartenenti alle prime due decadi di vita del gruppo, la mostra si concentra sia sui talenti individuali sia sulla filosofia del collettivo; nella lingua del popolo Kikuyu del Kenya, “kamoinge” significa infatti “gruppo di persone che agiscono insieme”. Roy DeCarava – maestro nell’uso sottile di luce e ombra – ha avuto una straordinaria influenza sul gruppo, oltre a esserne stato il primo direttore. All’inizio gli incontri si tenevano nel suo loft newyorkese sulla Sesta Strada, dove critiche collettive senza esclusione di colpi venivano lanciate col sottofondo di John Coltrane. «È nostro impegno produrre rappresentazioni significative del nostro tempo», ha scritto Louis Draper, membro fondatore e forza motrice del gruppo. «Parliamo delle nostre vite come solo noi possiamo fare». In questione era non solo la sottorappresentazione dei fotografi neri nelle mostre e nei media, ma anche la predominanza di immagini che, più o meno intenzionalmente, fraintendevano e descrivevano in modo sbagliato l’esperienza delle persone di colore. Uno dei primi portfolio si apre con questa affermazione: «Il Kamoinge Workshop raccoglie un gruppo di fotografi neri i cui obiettivi creativi riflettono un interesse per l’espressione della verità riguardo al mondo, alla società e a se stessi».

Ming Smith, “Instant Model”, Brooklyn, 1976 (dalla serie “Coney Island”). Immagine da “Ming Smith: An Aperture Monograph” (Aperture/Documentary Arts 2020). © Ming Smith, courtesy l'artista e Aperture.

Quando nel 1973, su invito di Draper, Ming Smith si unisce al Workshop, diventa la prima e per molto tempo l’unica donna a farne parte; sei anni più tardi, quando il Museum of Modern Art acquisisce due sue opere, è la prima donna nera a entrare nella collezione fotografica del museo. Al Whitney il suo lavoro svetta sugli altri ed è oggetto di una splendida monografia, pubblicata di recente dalla casa editrice Aperture. Per lo più autodidatta, la Smith riconosce di aver subito molteplici influenze, da Diane Arbus a Romare Bearden, da Lisette Model a Matisse, Brassaï e DeCarava, ma ha un approccio alla fotografia istintivo e legato all’improvvisazione, che ha raggiunto maggiore profondità soltanto quando è diventata, secondo la definizione del critico Greg Tate, «una compatriota creativa e una compagna di viaggio» dei musicisti jazz. Nel 1979 ne ha anche sposato uno, il sassofonista David Murray, e molte delle sue fotografie successive, infatti, sono state scattate in tour con la sua band. Per lei «la fotografia è mistica, spirituale, magica», e il suo lavoro in bianco e nero può essere intensamente impressionistico e basato sulla pratica, che comprende pittura, colorazione, collage, doppia esposizione ed emozionanti gradazioni di sfocato. Detto ciò, l’immagine qui sopra, parte di una serie realizzata a Coney Island, è insolitamemente diretta. Smith, che prima di unirsi al Kamoinge Workshop ha lavorato come modella per diversi anni, l’ha intitolata Instant Model, in onore dello stile, della modestia e della quieta, vagamente divertita sicurezza che mostra il suo soggetto nell’essere stata scelta tra la folla.

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Vince Aletti è critico fotografico e curatore. Vive e lavora a New York dal 1967. Collaboratore di “Aperture”, “Artforum”, “Apartamento” e “Photograph”, è stato co-autore di “Avedon Fashion 1944-2000”, edito da Harry N. Abrams nel 2009, e ha firmato “Issues: A History of Photography in Fashion Magazines”, pubblicato da Phaidon nel 2019.

Da Vogue Italia, n. 845, febbraio 2021

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