In una lettera esclusiva perVogue Hope, la cantautrice multi-premiata, attivista e filantropa,Ellie Goulding, riflette sul suo amore per la natura, su come possiamo proteggere il
Ciao, sono Ellie e sono piena di speranza per il futuro. Spesso mi sento anche piena di paura, preoccupazione, ansia, spavalderia, coraggio, rabbia, meraviglia, amore e tante altre emozioni perché – diciamocelo – siamo esseri complessi noi umani. Ma mi sento grata di tutto ciò. Come ogni musicista, devo tutto alle emozioni. Ci facciamo ispirare da loro, anche dal dolore, e lo trasformiamo in canzoni. Se gli esseri umani non fossero queste creature complesse, noi non avremmo nulla di cui scrivere. Quindi, vi ringrazio.
Grazie anche perché continuate a tener viva la speranza. Penso che siamo stati creati per sperare, proprio come siamo stati creati per amare la natura. Anche se a volte dobbiamo scavare un po’ per ritrovare questo amore. Io sono una ‘fanatica’ della natura. Sono cresciuta in campagna, nell’Herefordshire, al confine tra l’Inghilterra e il Galles, correndo tra i campi e conoscendo a memoria ogni siepe, ogni fiore selvatico e ogni spazio aperto.
C’è un termine specifico che descrive l’amore per la natura, per la vita: biofilia - come il titolo di un album di uno dei miei idoli musicali, Björk, e di un volume del biologo EO Wilson. L’oceanografo Jacques Cousteau fu il primo a dare il via alla pratica di filmare sott’acqua in modo da portare al cinema l’ecosistema marino che tanto amava. Il suo scopo, però, non era solo intrattenere il pubblico ma anche far scattare un impulso alla salvaguardia. Pensò: “Come puoi proteggere qualcosa che non ami?” Quindi, se in primavera, durante il lockdown, avete riscoperto l’amore per la natura, ora dovete combattere per proteggerla.
Ci emozioniamo tutti sentendoci raccontare delle storie. Fa parte di noi. Per me, il cambiamento climatico è la storia più importante e più forte. Una storia che ci tocca da vicino. Ci troviamo in questa situazione pazzesca per cui siamo la prima generazione sulla Terra ad avere consapevolezza dei danni che stiamo facendo e a sapere anche cosa occorre fare per impedirli. Siamo inoltre responsabili di aver causato il maggior danno nel minor tempo possibile. È dura da mandare giù, no?
Forse è per questo motivo che quando si entra nel vivo del dibattito, la conversazione acquista subito toni apocalittici. Quando ho iniziato a studiare il cambiamento climatico, mi sono trovata a partecipare a presentazioni a dir poco catastrofiche. Ve lo dico per esperienza: quando si parte parlando di orsi polari che muoiono e lastre di ghiaccio che si staccano e si scontrano, sapete che sarà una serata lunga e impegnativa.
Era già da un po’ che sentivo in me questo forte desiderio di parlare dell’emergenza ambientale. Ma volevo farlo in maniera ottimista – partendo da una base di speranza – e non dal solito approccio catastrofista. Poi finalmente è arrivata l’opportunità. Cinque anni fa, ho ricevuto una lettera con tanto di sigillo dell’Assemblea delle Nazioni Unite di New York. Quel grande edificio con le 193 bandiere all’esterno che rappresentano gli Stati membri. All’interno mi si chiedeva di diventare Ambasciatrice mondiale per il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Sarei stata annunciata dal grande Kofi Annan, l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, ormai scomparso.
Inutile a dirlo, ero terrorizzata e la mia ‘sindrome dell’impostore’ ha avuto la meglio. Chi ero io per dire ai leader di tutto il mondo cosa andava fatto sulle emissioni e sul clima? Non ricordo nemmeno quante volte ho cercato di sottrarmi all’incarico di tenere quel discorso finché non ho avuto una sorta di illuminazione. In qualche modo ho capito che era il rapporto che avevo con la natura a legittimarmi. Avevo il diritto a dire la mia sul proteggere questo nostro splendido pianeta? Certo, e l’avete anche voi.
Sono cresciuta molto da allora e mi sento decisamente più a mio agio in questo mio ruolo. Devo essere sincera: da persona che non ama parlare in pubblico, non è semplice, ma è anche molto emozionante essere in scaletta con un’eroina come la Dr Jane Goodall, primatologa di fama mondiale, e parlare dell’amore che ci accomuna per la natura. Ogni interazione, incluse quelle virtuali come per la Giornata ONU degli Oceani e per la lobby della Coalizione sul Clima durante il lockdown, è in grado di darti qualcosa di incredibile.
Mi mette in contatto con la gente, con speranza e un programma. A volte la portata delle questioni ambientali che affrontiamo intimorisce ed è facile sentirsi sopraffatti. Prendiamo il caso della plastica, per esempio: ogni anno, dagli 8 ai 12 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani di tutto il mondo. Ma, attraverso le Nazioni Unite, ho potuto visitare un centro di recupero per tartarughe a Watamu Bay [in Africa] dove ho incontrato i volontari che si occupano di curare questi esemplari, rimuovendo la plastica che hanno ingerito. Ho contribuito ad aiutare a liberare una tartaruga nell’oceano. Piuttosto che sentirmi impotente, ho visto il coraggio, la determinazione e l’impegno di quegli attivisti a Watamu.
Salvare le tartarughe un esemplare alla volta non risolve di certo la questione dell’inquinamento da plastica. Dobbiamo eliminare il problema alla radice e metter fine all’utilizzo di prodotti in plastica monouso che vanno a finire nell’ambiente senza che via sia un piano ben preciso su come smaltirli. Un’altra cosa che cerco di fare è tradurre la speranza in azione, in gesti concreti. Per il lancio del mio album, Brightest Blue, abbiamo fatto molte ricerche per capire come produrre merchandise col minor impatto ambientale, eliminando la plastica laddove era possibile (la vittoria più grande è stata abolire il classico involucro in cellophane termoretraibile. Sì, cose del genere mi emozionano molto!) e utilizzando plastica riciclata post-consumo per prodotti come le cassette. Ogni volta che possiamo intervenire, lo facciamo!
Da quando ho iniziato a promuovere pubblicamente azioni a favore del clima e della natura, c’è stata una rivoluzione guidata da Greta Thunberg e dal suo movimento Fridays for Future. La mia speranza viene dalla forza di questo grande movimento e dalla direzione in cui tutti ci stiamo muovendo, spronando i leader mondiali a passare dai combustibili fossili all’energia green. Per me, il miglior modo di contribuire è continuare a raccontare storie di speranza su come vogliamo che appaia il futuro.
Michelle Obama, come al solito, l’ha detto meravigliosamente: “La storia è fatta da coloro che scendono in campo e combattono”. I dati sull’ambiente e l’emergenza climatica ci mettono di fronte ad una grossa sfida. Ma così facendo, ci costringono ad agire. E la cosa migliore per affrontare questa sfida è inventarsi modi di vivere meglio assieme su questo pianeta danneggiato. Quello che l’esperienza mi ha insegnato è che è meglio scendere in campo e fare la propria parte piuttosto che agitarsi a casa ma senza far nulla. Non si vince nessuna medaglia alle olimpiadi del catastrofismo ma agire con speranza e ottimismo è sempre una strategia vincente.
Ellie Goulding fotografata al Victoria & Albert Museum, Londra
Fotografia:Misan Harriman
Trucco:Lucy Wearing
Styling:Nathan Klein
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Ellie Goulding ha ospitatoThe Brightest Blue Experience live dal Victoria & Albert Museum di Londra il 26 agosto.
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