La mostra a Bologna, Palazzo Albergati
Gli Impressionisti non passano mai di moda. Chi resiste al fascino di quella pennellata leggera, pronta a catturare la
L’esposizione di Bologna – prodotta da Arthemisia con tutti i “sacri crismi del momento”: si entra solo con mascherina e mani igienizzate e solo 25 persone ogni 20 minuti – si presenta come un viaggio intimo tra le opere dei pittori più noti del movimento impressionista. Sono i nomi che conosciamo ormai a memoria: Monet, Manet, Degas, Renoir, Pissarro, Corot, Sisley, Morisot. Eppure, ogni volta incantano, ogni volta “impressionano”: così eterogenei tra loro, così distanti eppure così vicini. Primo perché erano un gruppo basato e ispirato dalla rivoluzionaria idea di portare il cavalletto en plein air per provare a dipingere “l’aria del reale”. E poi perché si conoscevano tutti, si frequentavano, si stimavano. L’uno aveva in casa le opere dell’altro e gran parte di questa collezione impressionista famigliare è confluita al Marmottan ed ora esposta a Bologna.
Ecco allora i tre dipinti da non perdere assolutamente
1.La passeggiata-simbolo
Passeggiata ad Argenteuil (olio su tela, 1875) di Claude Monet è un quadro di sessanta per ottanta centimetri: a Bologna lo si ammira, quasi isolato, in una saletta intima, perfetta per l’atmosfera del dipinto che ritrae la prima moglie dell’artista con il figlio Jean e un uomo mai identificato. Siamo non troppo lontani da Parigi: qui Monet piazzò per la prima volta il cavalletto fuori dallo studio (la Normandia e il buen retiro di Giverny verranno dopo). Ad Argenteuil la primavera lo accoglie, lo abbaglia: i personaggi diventano parte del paesaggio, i fiori di campo (rosa, viola, rossi, azzurri e gialli) si prendono la scena e cominciano a diventare un’ossessione. La tavolozza è chiara, non vediamo i volti umani perché è la natura, anzi l’atmosfera, ciò che più importa. La pennellata veloce, i parasole aperti e un cielo infarcito di nuvole dicono ai nostri sensi che il vento accompagna la giornata. Pare di sentire il profumo del campo.
Passeggiata ad Argenteuil (olio su tela, 1875) di Claude Monet
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2. La grande famiglia impressionista
Vedere ora a Bologna Ritratto di Berthe Morisot distesa (olio su tela, 1873) di Édouard Manet è un privilegio: mai finora il Musée Marmottan Monet si era privato della tela per darla in prestito. Seppur di piccole dimensioni (ma in mostra è ben illuminata), seduce: pare un’opera tardonovecentesca per lo sguardo intenso della donna, il fondo neutro, la posa volutamente sensuale. È Berthe Morisot, modella e artista che già esponeva al Salon, figlia di una famiglia agiata e colta che non ostacolava il suo estro: in mostra a Bologna sono esposti anche alcuni suoi interessanti lavori. Ebbene, nel 1868 viene presentata a Manet che ne rimane incantato: Berthe riesce a interpretare quel fascino moderno che il pittore cerca (spesso con scarso successo: la sua straordinaria Olympia fu criticata e giudicata volgare).
Per sei anni Berthe Morisot diventa “la” modella di Édouard Manet e il pittore le dedica una decina di intensi ritratti: questo che vediamo è il frammento di un quadro più grande in cui la donna era sdraiata sul divano e che poi è ridotto dal pittore al solo busto in primo piano. Un’inquadratura stretta che pare un atto d’amore: Manet decide infatti di donare l’opera alla sua musa. Ma lei l’anno successivo sposa il fratello di lui.
Ritratto di Berthe Morisot distesa (olio su tela, 1873) di Édouard Manet
3. Impressione o astrazione?
Se la prima parte del percorso espositivo si concentra su quadri di piccole dimensioni, quando si deve fare i conti con la lunga ed intensa produzione di Claude Monet serve una scala più grande. La misura delle tele diventa sempre più ampia: l’artista, ormai ritirato a Giverny nella casa-atelier-giardino che è il suo tempio pittorico (le ninfee, i salici, il ponte giapponese: queste le sue ossessioni), continua a studiare la luce. I soggetti ritratti perdono di importanza: tutto si sfalda, tutto è etereo. In mostra ci sono anche le Ninfee - di cui vi avevamo già parlato qui - e, quadro dopo quadro, si vede come l’ “impressione” del pennello sulla tela diventi puro pensiero, pura astrazione, puro colore e movimento. Tutto è decostruito, simbolico: la musica struggente di Debussy accompagna la visione dell’ultima opera, Le rose (1925-26) che è anche l’ultima tela su cui Claude Monet, pochi giorni prima di morire, mette il pennello. Ritocca fino all’ultimo il fondale lilla mentre i contorni del quadro restano aperti. Si è compiuta la seconda rivoluzione impressionista: la fuga verso l’astrazione.
Le rose (1925-26) di Claude Monet
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Informazioni:Palazzo Albergati