La collezione autunno inverno 2021 2022 di Richard Malone

Dalle maison del lusso francesi ai cantieri edili, passando per il tavolo della cucina della nonna, Richard Malone, con la collezione autunno inverno 2021 2022, porta il suo punto di vista

unico e personale sulla moda. È la raffinata prosecuzione dello stile che ci aspettiamo dal designer irlandese: una celebrazione, delle donne e della moda, dal fascino senza tempo, funzionale ed elegante. Con i suoi vestiti in maglia pesante e capi tricot a coste, i blazer astratti con spalle importanti e i cappotti in lana con cintura, i pantaloni sartoriali con grembiule-borsa staccabile e con le sue classiche silhouette con punto vita sottile, spalle esagerate e proporzioni astratte, Malone unisce costruzioni innovative, tessuti rigenerati e trattati con tinture vegetali e un uso particolarmente ricco del colore. Il film, diretto da Isabel Garrett, regista e fotografa pluripremiata e sua collaboratrice da molto tempo, vuole scardinare il punto di vista dell’uomo etero e bianco, proprio come gli abiti che presenta. 

Abbiamo parlato con il designer della collezione autunno inverno 2021 2022 e del video dedicato.

Com’è nata l’idea per il video di questa stagione?

Parlavamo di creatività, di cancellazione e di voce. Nel film c’è Anna Engerstrom, una nostra amica coreografa che è sempre nelle nostre sfilate. Abbiamo lavorato con lei e con il modo in cui si relaziona agli abiti stabilendo un dialogo aperto; per quanto riguarda il set e la creazione di una storia, per me è difficile fare qualcosa di artificiale, ma con Anna non c’è bisogno di scrivere una sceneggiatura, ma vedere in che modo la protagonista, una donna, si relaziona con gli abiti, e come una regista donna coglie questo punto di vista. Credo che il problema della moda è che, a prescindere da quello che fai, il 90% delle immagini sono realizzate da uomini etero e bianchi. Quando si parla di cambiare il sistema, il cambiamento deve essere fatto dall’interno verso l’esterno, di questo parla il film. Qualcuno che reagisce a qualcosa in un dato momento, è questo che trovo esaltante.

L’anno che è appena passato ha cambiato il modo in cui crei? 

Completamente, sì. Abbiamo vinto uno dei premi più importanti nella moda (l'International Woolmark Prize), e subito dopo siamo andati in lockdown, una follia. È interessante pensare al significato di questi premi, e a come si sviluppa questo tipo di supporto. Ho sempre cercato lavorare con un network piccolo di persone. Non ho mai cercato di crescere, può essere dannoso. Si parla tanto di sostenibilità, ma possono essere parole vuote: dobbiamo parlare di sostenibilità in rapporto ai posti di lavoro. È stato importante sostenere la nostra piccola rete di persone, con cui abbiamo collaborato sin dall’inizio, e non smettere mai di fare le cose finché non sono davvero pronte. La collezione riflette dove stiamo andando, non c’è stata nessuna forzatura a renderla qualcosa di diverso. E volevamo anche avere una proposta precisa, perché sappiamo quello che i nostri clienti, donne e uomini, vogliono da noi, come dovrebbero essere costruiti i capi, come dovrebbe essere una giacca bellissima, senza commercializzare le cose. 

Trasparenza e responsabilità sono al centro delle vostre pratiche sostenibili. Perché era importante per voi sottolinearlo?

Nessuno lo fa. Parlo di prendersi le proprie responsabilità, nessuno è disposto a farlo. Bisogna pur stabilire un precedente e far capire alla gente che è possibile farlo. Devono farlo i designer e io sono ben felice di prendermi la responsabilità di far parte di questo cambiamento. Altrimenti non sei al passo con i tempi. È molto facile per la moda non significare nulla. Quello che noto molto in questo momento, nella moda, è un atteggiamento nostalgico, lo trovo preoccupante. Quando la gente dice che dopo sarà come negli anni ‘20, come negli anni ruggenti. Be’, poi c’è stata la grande depressione, e poco dopo la guerra, non è certo quello che vogliamo. O quando la gente ha nostalgia degli anni ’90, forse il periodo più difficile nella moda per quanto riguarda la body image e la diversità. È stato dimostrato che la gente è interessata a cambiare atteggiamento nei confronti della moda, della sostenibilità e della responsabilità, ma in realtà è interessata a quello stesso modo nocivo di far funzionare le cose. E questo fa parte del ciclo della moda, proprio come il commercio all’ingrosso, o produrre troppi indumenti, perché non ti concedi di andare oltre. 

Questa stagione è ispirata all’arte e all’artigianato. In che modo si manifesta? 

La gente che viene sfruttata si trova fuori dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti e si tratta di solito di manodopera femminile; questo è un aspetto su cui abbiamo riflettuto molto questa stagione. Abbiamo riflettuto sulla cancellazione dell’artigianato, sulla definizione di arte e di artigianato e perché una cosa è considerata artigianato e un’altra arte, e la distinzione di solito è maschile/femminile.  

In che modo il tuo passato influenza quello che fai?

Il giornalismo normativo della moda, di solito persone bianche, benestanti, della classe medio-alta, non accetta che una voce queer non abbia l’aspetto di una voce queer. Il punto, in quello che faccio, è che io sono una voce queer ma le persone possono essere straordinarie ognuna a modo proprio. In più, parlando del ruolo di chi crea gli abiti, credo sia molto importante imparare un mestiere, perché è quello che hanno fatto tutte le persone che conosco, che si tratti di imparare a fare il falegname o la sarta. E nella moda si dovrebbe fare lo stesso, per questo ho imparato a fare il modellista. Quella della moda è un’industria che è molto omogenea quando ci sei dentro, ed è quando vuoi fare qualcosa di diverso che diventa interessante. 

Cosa pensi della moda come mezzo espressivo? 

Sono una persona che si muove fra la moda e l’arte. Credo siano la stessa cosa, ma il problema è che le persone hanno bisogno di citare e giustificare il proprio lavoro. Nessuno parla degli abiti, della costruzione, del taglio o del colore o della storia di chi quell’abito ha creato. C’è un enorme divario fra quelle che le persone chiamano attività poco qualificate e attività altamente qualificate. Invece io credo che chi svolge attività definite poco qualificate (chi si occupa di sartoria, tintura, tessitura) sono in realtà le persone che fanno i lavori più qualificati. Lo styling e tutto il resto sono cose che riguardano la creazione dell’immagine. E io sto imparando dalla mia clientela che non puoi mai prevedere quello che le persone vogliono.

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