Tommy Dorfman è una di quelle persone naturalmente brillanti in tutto ciò che fanno: recitazione, scrittura, fotografia, direzione artistica, e così via. Originario di Atlanta,
Da allora, il 28enne ha partecipato allo spettacolo teatrale off-Broadway, Daddy, al fianco di Alan Cumming; è apparso in diverse serie TV di successo, che includono Jane the Virgin, Insatiable e American Princess; ha trasformato il comico Pete Davidson in una bambola Ken per la copertina della rivista Paper, che entrambi hanno fotografato e diretto; è stato protagonista di una serie di campagne moda e beauty per diversi brand, compreso Calvin Klein e il deodorante no gender Each & Every; e di recente ha anche scritto un validissimo saggio per Teen Vogue sulla politica dell’abbigliamento genderizzato. Dorfman è inoltre un rigido attivista dei diritti LGTBQ+ e collabora regolarmente con l’Ali Forney Center, un’ organizzazione no profit che sostiene i giovani senzatetto della comunità LGTBQ+. La maggior parte delle figure di spicco sono ben felici di prestare il loro nome per una causa al giusto prezzo, mentre Tommy Dorfman sceglie di lavorare solo con i brand conformi alla sua visione del mondo. Infatti, di recente si è espresso contro un brand con cui aveva collaborato in precedenza, per la loro evidente ipocrisia nei confronti del movimento Black Lives Matter.
Abbiamo fatto due chiacchiere con l’eclettico artista, che sta lavorando a un nuovo spettacolo sull’amore ai tempi del coronavirus, per discutere della sua esperienza sull’essere non binario e del futuro del beauty no gender.
Vedi di più
Pride Month 2020: 8 musicisti LGBTQ+ da ascoltare
Crescendo, che ruolo hanno avuto make up e beauty per te?
“Sono cresciuto ad Atlanta, in Georgia, il più giovane di cinque figli. C’è qualcosa nell’essere il più piccolo e il voler essere notato. È tipo: ‘Ho bisogno di attenzione, guardatemi.’ Mi esibivo di continuo ed ero molto curioso. Siccome eravamo in tanti, passavo molto tempo da solo da bambino, trascorrendo un sacco di tempo nel mio mondo fantastico, perciò il make up è sempre stato parte essenziale di quella espressione. La natura di genere del beauty mi era chiara sin da piccolo. Ho sempre fatto acquisti nel reparto ragazze durante il periodo delle elementari. Mi piaceva un sacco – i lucidalabbra, le palette di ombretti per bambine, il trucco di mia mamma. La truccavo anche”.
Credito Foto Tommy Dorfman
© Photography Tommy Dorfman, Make Up by Kali Kennedy
Come hai fatto a orientarti tra le connotazioni di genere del make up e del beauty?
“Mi è sempre stato chiara una cosa: le ragazze si truccano e i maschi no. Ma mi esibivo molto e ballavo, perciò il trucco di scena era parte della mia espressione. Mi truccavo da solo, aggiungendo sempre quel qualcosa in più. Il periodo delle scuole medie è stato difficile, perché non potevo più far finta di essere una delle ragazze. Da un punto di vista sociale non era un grosso problema, ma lo era per gli altri genitori, che preferivano non avermi ai pigiama party durante la pubertà. Ero anche stanco di mostrarmi vulnerabile e sincero col mio modo di esprimermi, che per me a quell’età significava indossare abiti femminili ed essere molto effeminato. A un certo punto, mostrarsi sempre così sfrontato era diventato pericoloso. Sono diventato prigioniero di quello che la gente pensava avrei dovuto essere. Non mi sono più concesso la libertà di divertirmi con il trucco fino alle scuole superiori”.
Come descriveresti la tua estetica odierna?
“Non faccio mai un trucco troppo carico; non mi trasformo in una drag queen. Ho sempre preferito uno look naturale con un tocco di colore sugli occhi”.
Secondo te il trucco è più un espressione della propria creatività o serve a migliorare i tratti già esistenti?
“Lo considero come un elemento creativo. C’è un certo tipo di autoconsapevolezza nel sapere cosa ci si addice meglio. Avendo gli occhi verdi so di stare bene con il bordeaux, le tonalità rosse e l’arancione, mentre un blush rosa pallido è ciò che ci vuole per la mia carnagione.”
Pensi riusciremo mai a non genderizzare il make up?
“Ci stiamo sicuramente muovendo in quella direzione, ma viviamo ancora in una bolla. Parliamoci chiaro: nel Regno Unito, negli Stati Uniti e nella maggior parte d’Europa le persone si esprimono maggiormente nelle grandi città, piuttosto che nei centri minori. Perciò, a livello globale o universale, ci vorranno decenni prima di ritrovarci in una situazione ideale. Almeno nella nostra comunità di artisti, creativi, scrittori e intrattenitori è già una realtà”.
Quali cambiamenti sono necessari per vivere in un mondo dove il make up è no gender?
“I brand hanno molto a che fare con la genderizzazione del make up. Rendono tutto genderizzato: gli shampoo, i balsami, i deodoranti. Non avrei mai pensato di iniziare una collaborazione con un’azienda che produce deodoranti, ma ho un contratto con un brand di deodoranti, perché non è genderizzato. È importante dare supporto a questi marchi che fanno del loro meglio, soprattutto i brand più giovani. I marchi di lusso dovrebbero dare il buon esempio e iniziare la tendenza, così i budget brand seguiranno. Si tratta sempre di prodotti di marca, ma non fa una cazzo di differenza”.
Come si inserisce la recitazione nella tua idea di bellezza genderizzata?
“Naturalmente il personaggio viene prima di tutto. Se non ha senso che il personaggio indossi una data cosa, non ho alcun problema. È il mio lavoro, e il mio lavoro consiste nella creazione di personaggi. Tuttavia, a volte, mi imbatto in qualcosa dove penso possa portare dei vantaggi e possa diventare un’opportunità per una migliore rappresentazione. Così ne discutiamo e io dico: ‘Magari questo personaggio non deve essere necessariamente lo stereotipo del ragazzo gay così com’è scritto, forse possiamo renderlo più gender fluid e meno binario.’ Certi lavori fanno voltare molte teste, e la rappresentazione mediatica è fondamentale affinché le persone capiscano”.
Credi che sarà possibile in un futuro prossimo non basare il successo sul proprio aspetto?
“Sì, lo credo. Si tratta di ridefinire il concetto di bello al di là della bellezza tradizionale a cui tutti siamo abituati. Dobbiamo abbattere quei confini. Sono discriminatorio con me stesso e ho bisogno di mettermi alla prova e vedere bellezze diverse in modo trasversale. Quando osservo il mio gruppo di amici o la mia famiglia capisco che ho bisogno di sforzarmi di più e provare a diventare amico di persone diverse da me fisicamente, nel colore della pelle, e nella loro espressione di genere. Ho un grosso problema con gli uomini etero cisgender. Ho una sorta di discriminazione nei loro confronti e dovrò lavorare su me stesso per trovare un modo di stabilire una relazione con queste persone e credere nel fatto che possano essere alleati”.
A cosa stai lavorando adesso?
“Ho passato molto tempo a esaminare i miei privilegi di cittadino bianco, leggendo libri e ad allinearmi col il movimento Black Lives Matter. Faccio del mio meglio per far sentire la voce della gente tramite la mia piattaforma e provo a fare ammenda attraverso donazioni, andando alle dimostrazioni e partecipando alla rivoluzione di massa che sta accadendo negli Stati Uniti. Da persona bianca con una piattaforma social e che lavora con brand noti, gran parte del lavoro ha riguardato la ridefinizione di quei contratti e trovare modi per renderli utili al movimento”.
Cosa ti auguri maggiormente per il futuro?
“Spero in un futuro dove la gente si senta al sicuro e dove le persone di colore non si sentano costantemente prese di mira e in cui possano occupare più ruoli di potere. Me lo auguro con tutto il cuore”.
Potrebbe anche interessarvi