Hilary Swank. Intervista alla protagonista di Away

Dopo che ha vinto ben due Oscar nell’arco di soli cinque anni, per Boys Don’t Cry (1999) e Million Dollar Baby (2004), Hilary Swank è

diventata una delle più grandi star di Hollywood. Da allora, l’attrice del Nebraska, 46 anni, ha fatto cinema e televisione a modo suo, recitando in ruoli impegnati come quello in The Homesman (2014) e in serie di prestigio come Trust (2018), ma anche prendendosi pause dal set.

Nel 2015, ha fondato la Hilaroo Foundation, un’organizzazione no-profit che si occupa di giovani in condizioni disagiate e animali abbandonati e, l’anno dopo, ha lanciato Mission Statement, una linea di abbigliamento incentrata sui capi chiave del guardaroba ma specializzata in lusso etico. Tra il 2014 e il 2017, si è occupata del padre durante il periodo di convalescenza in seguito a un trapianto di polmone. Quando nel 2018 ha sposato l’imprenditore Philip Schneider, il padre stava abbastanza bene da accompagnarla all’altare.

Hilary Swank è poi tornata sul set con ruoli nel thriller fantascientifico I Am Mother (2019) e nella satira horror The Hunt (2020) ma il suo prossimo personaggio è quello più significativo in più di dieci anni e la vede interpretare l’astronauta americana Emma Green, dall’animo sensibile e i toni pacati, nella nuova serie in 10 parti, diretta da Andrew Hinderaker per Netflix, intitolata Away. Incaricata di guidare una spedizione su Marte, Green ha il compito di riunire una squadra di astronauti da tutto il mondo, composta da un disincantato cosmonauta russo (Mark Ivanir), un taciturno chimico cinese (Vivian Wu), un botanico britannico-ghanese (Ato Essandoh) e un co-pilota indiano (Ray Panthaki). Per scrivere la storia dell’umanità, deve accomiatarsi dal marito Matt (Josh Charles) e dalla figlia Alexis (Talitha Eliana Bateman), cosa resa più complicata dai problemi di salute del partner e dalle difficoltà adolescenziali della figlia.

In occasione dell’uscita della serie il 4 settembre, abbiamo fatto due chiacchiere con l’attrice per parlare delle difficili scene girate in assenza di gravità, delle conversazioni rivelatrici che ha avuto con alcune delle più grandi astronaute e del perché accettare il ruolo ha significato realizzare, almeno in parte, un sogno d’infanzia.

Ray Panthaki e Hilary Swank in Away

© Courtesy Netflix

È vero che desideravi diventare un’astronauta prima di voler fare l’attrice?

“Diventare astronauta è stato il mio primissimo sogno! Sono sempre stata affascinata dal concetto di un qualcosa più grande di tutti noi e di ignoto. Mi piaceva anche l’idea di poter vedere la Terra da un’altra prospettiva: ho sempre amato guardare le foto satellitari della Terra e delle bellezze del nostro splendido pianeta. Quando ascolti le storie degli astronauti al momento di atterrare sulla Terra, parlano di tutte quelle cose che tendiamo a dare per scontate: l’acqua, gli alberi, il fruscio delle foglie. L’ho sempre trovato straordinario”.

È questo uno degli aspetti che ti ha attratto del copione diAwayquando l’hai letto per la prima volta?

“Assolutamente! Ma anche il fatto che fosse molto avvincente. Ho perso la cognizione del tempo mentre lo leggevo e, quando l’ho finito, mi sono detta [urla] ‘Noo, e poi che succede?! Non riuscivo a smettere di pensarci”.

Emma Green è un personaggio molto sfaccettato. Cosa ti ha invogliato a interpretare il ruolo? 

“Guida con empatia e col cuore, e la sua vulnerabilità è considerata un punto di forza e non una debolezza. È il comandante di una missione su Marte ma il personaggio non è scritto in maniera stereotipata. Non è intensa all’eccesso o troppo dura. E questo mi è piaciuto molto del suo carattere. Tiene conto di ognuno dei colleghi della sua squadra”.

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Il cast è  vario e inclusivo. Era un aspetto importante per te?

“Gli stereotipi possono essere pericolosi e la serie cerca di sfatarli. Il fulcro della storia è la nostra umanità condivisa. Non ci sono confini nello spazio e per facilitare la missione occorre la collaborazione di tutti questi astronauti – uomini e donne, da diverse parti del mondo e con background diversi alle spalle”.

Hai incontrato astronauti di professione durante le ricerche sul personaggio?

“Mi sono confrontata con alcuni nomi di spicco, tra cui l’astronauta Jessica Meir che si trovava proprio sulla Stazione Spaziale Internazionale in quel periodo, e con [l’astronauta in pensione] Peggy Whitson. È stata nello spazio più di ogni altro americano e più di ogni altra donna al mondo, guidando tantissime missioni”.

Cosa ti ha sorpreso di più del racconto di queste astronaute?

“Avevo una vaga idea dei piani di evacuazione di emergenza che esistono e dell’immenso lavoro richiesto da missioni del genere ma non mi ero resa conto delle conseguenze fisiche per il corpo, dei sacrifici a cui ci si sottopone stando lontani dalla propria famiglia per così tanto tempo e delle incognite che si accettano, dal momento che conosciamo ancora pochissimo. Gli astronauti sono in uno stadio perenne di studi e ricerche. Ora ho una conoscenza e una consapevolezza di gran lunga maggiori. Un’altra cosa che sono venuta a sapere è che a tutte le astronaute viene chiesto ‘Non sarà troppo duro per te lasciare la famiglia? ’ Ma ovviamente la stessa domanda non viene fatta a tutti gli uomini.

Non è meraviglioso che qui sia il marito di Emma a prendersi cura della figlia e che la cosa sia vista come normale?

“Non c’è dramma tra moglie e marito. Non sentiamo il marito dire ‘Non ci posso credere che parti! Mi fai sentire castrato’ [ride]. È un marito che supporta la propria compagna. Una prospettiva nuova, no?!”

Hilary Swank in Away

© Courtesy of Netflix

È stato difficile girare le scene in assenza di gravità?

“Le tute che indossiamo pesano circa 16 Kg e ovviamente non siamo in assenza di gravità, quindi si cerca solo di dare l’impressione che non siano affatto pesanti. Fisicamente è stato più duro di quanto mi aspettassi. Nelle scene in cui eravamo in volo indossiamo un’imbracatura fissata sulla parte più bassa del bacino. Dovevamo contrarre gli addominali per andare indietro e i glutei per muoverci in avanti”.

Qual è stata la sfida più grande?

“Quando ho indossato la tuta spaziale mi sono resa conto di essere claustrofobica. Ci ho dovuto lavorare molto. Devo ammettere che in passato non sono stata molto comprensiva nei confronti di chi soffre di fobie. Ho sempre pensato ‘È solo un ragno! ’ oppure ‘Sì, siamo su un ponte e molto in alto, ma non è che si cade. Fai un respiro e sii razionale’. Poi tutto d’un tratto mi sono ritrovata io in quella situazione e mi sono detta ‘Oddio, che str… sono stata! La sensazione di panico è reale! ’ [Ride]. Stavo sudando, ero rossa in volta e sul punto di svenire”.

Ti eri mai resa conto, prima di quel momento, di soffrire di claustrofobia?

“Ho avuto il presentimento quando ho visitato le piramidi in Egitto. Quando percorri i vari tunnel devi accovacciarti. Ad un certo punto, mi sono trovato dentro uno di questi tunnel e sono andata in panico, tant’è che sono dovuta tornare indietro. Per fortuna la gente mi ha fatto passare. Ma è successo già qualche anno fa e allora mi ero detta ‘Chi non si sentirebbe claustrofobico in un ambiente del genere? ’ Anche se tutti gli altri visitatori dentro quel tunnel sembravano non avere alcun problema. Penso che cose del genere possono succedere col passare degli anni – tutto d’un tratto hai una fobia nuova [ride]”.

Oltre alle sfide fisiche, Emma gestisce il fatto di trovarsi lontana dai cari in momenti difficili. In piena pandemia pensi cheil pubblico sia ancora più in grado di immedesimarsi? 

“Sì, la serie sembra debuttare proprio al momento giusto. Il Covid-19 ci ha portato a rivedere le nostre priorità. Quando le cose si mettono male, ciò che conta davvero è la salute e i nostri cari”.

Dove hai passato la quarantena?

“Mia nonna è venuta a mancare lo scorso marzo - non per via del Covid, aveva 93 anni – quindi siamo andati nello Iowa per il funerale. Poi [è entrato in vigore il decreto sull’isolamento] così siamo andati a prendere mio padre, che ha avuto un trapianto di polmone, per portarlo al sicuro a casa. Dopodiché, abbiamo comprato una macchina usata e abbiamo intrapreso il viaggio di ritorno a Los Angeles. Durante il percorso, ci siamo fermati in Colorado per una sosta nella seconda casa di amici che erano a New York, e ci hanno detto ‘Perché non rimanete? ’. Pensavamo di passarci quattro notti ma alla fine siamo rimasti quattro mesi. È stata una vera manna in quanto abbiamo tanti cani e tutti i sentieri erano chiusi a Los Angeles”.

SuInstagramhai raccontato di aver imparato a lavorare all’uncinetto. Cos’altro hai fatto per passare il tempo?

“Ho passato il tempo lavorando a Mission Statement, la mia linea di abbigliamento. Ho sviluppato i prossimi prodotti da lanciare, cosa per cui non ho sempre tempo quando sono sul set”.

Hai preso una pausa dal set per occuparti di tuo padre in seguito al trapianto di polmone. Che consigli ti senti di dare a tutte quelle persone che si stanno prendendo cura di amici o famigliari? 

“Assicuratevi di avere tempo anche per voi. Prendersi cura di un proprio caro quando ci si sente allo stremo è molto dura e la salute ne risente. Prendetevi almeno un’ora al giorno per rilassarvi e ricaricare le batterie”.

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Away è su Netflix dal 4 settembre

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