Quando si parla di MartiniCocktail, un mondo che non si immagina esistere compare come per magia, e si scopre che dietro il drink all’apparenza più semplice
Nella mia full immersion virtuale nel mondo del Martini Cocktail, considerato uno dei big della mixology visto che dal 1961 è componente della categoria dei cocktail IBA (International Bartenders Association), ho incontrato il barman di fama mondiale Walter Gosso, Trade Advocacy Manager and Ambassador in Rinaldi 1957 (storica azienda dedita all'importazione e distribuzione beverage). Mi ha spiegato qual è la versione perfetta (per lui), le varianti esistenti, e tutti i segreti di quello che, nel mondo del bar, è IL cocktail.
© Alberto Blasetti
Il più grande classico della miscelazione pare nasca a Martinez e il nome non c’entra nulla con il famoso brand che tutti conosciamo: era la fine del 1800 negli Usa, nella città californiana di Martinez, dove è presente una targa in bronzo che recita “in questo luogo, nel 1874 Julio Richelieu, barista, ha servito il primo Martini a un minatore che, entrato nel suo saloon aveva chiesto qualcosa di speciale. Gli venne servito un Martinez Special. Dopo tre o quattro bicchieri la ‘z’ si era persa per strada…”.
Secondo qualcun altro il creatore sarebbe l’italiano Clemente Martini di Arma di Taggia (in Liguria), che servì per primo il drink nel 1910 a New York, presso il Knickerbocker Hotel in onore di John D. Rockefeller. Altri ancora sostengono che il drink fu servito ancor prima a New Orleans dal barman Martinez, o che sia nato da un cocktail del celebre barman Jerry Thomas intorno al 1860, il Martinez appunto.
Ma il bello è anche poter fantasticare attraverso la sua storia, così come scegliere quando berlo, molti lo vogliono in aperitivo per il suo gusto asciutto e tanti altri lo scelgono dopo cena. Ciò su cui invece bisogna essere più che precisi è la ricetta e il procedimento: “la tecnica usata si chiama Stir and Strain, il cocktail è mescolato nel mixing glass con ghiaccio, e poi filtrato nel bicchiere raffreddato”, precisa Gosso, “gli ingredienti non sono altro che del gin “sporcato” di vermouth dry e, solo in fine, delle olive”, continua.
Ma anche in questo caso bisogna fare una precisazione al riguardo. Eh si, perché se sulla guarnizione si può scegliere tra oliva (3 per gli americani) o un twist di limone (e non lime), “nella lunga storia del Martini Cocktail il vermouth ha progressivamente perso quote di importanza, non solo può non comparire nella coppa ma solo sul ghiaccio nel mixing-glass poi scartato, addirittura può anche presenziare simbolicamente: si dice, infatti, che Winston Churchill si limitasse ad un inchino simbolico in direzione della Francia, da cui venivano i vermouth di scuola dry, o che qualcuno faccia fare alla bottiglia di vermouth (chiusa) tre giri intorno alla coppa”. Ora si inizia a capire perché in realtà, da un'apparente semplicità il Martini possiede multiformi sfumature.
Ma torniamo alla ricetta del nostro Walter Gosso che sempre usa il vermouth: “riempire il mixing glass con del ghiaccio così da raffreddarne le pareti (in alternativa utilizzate un recipiente purché sia in vetro), versare i due distillati all’interno (70 ml. di gin Ramsbury e un goccio -della dimensione del bar spoon- di Vermouth Oscar 697 Extra Dry, di Montanaro o di una tipologia dalle note acide e citriche) e mescolare con l’aiuto di un bar spoon. Filtrare la miscela in una coppetta ghiacciata (famoso bicchiere dalla forma conica rovesciata) con uno strainer (in alternativa con due cucchiai incrociati che trattengono il ghiaccio) alzando la versata così da ossigenare e fare un po’ di scena. Infilzare sul fianco le olive con un toothpick (stecchino in acciaio), non lavandole e adagiandole nel drink. Precisazione sulla coppetta: metterla in freezer finché si ghiacci e tirarla fuori solo nel momento in cui è da usare”. In 5 minuti il vostro Martini Cocktail è pronto, freddo e accogliente.
Quanto alle sue varianti, si può fare un distinguo sulle olive, chi le sceglie più piccole e denocciolate, chi più carnose e con l’osso come suggerisce Gosso (se grande di Cerignola ne basta una), chi farcite o addirittura senza olive ma solo con la loro salamoia (molto usata e venduta negli USA) per comporre il Dirty Martini dove però al posto del gin compare la vodka. C’è chi opta per l’utilizzo della scorza di limone da “strizzare” sul cocktail affinché gli olii essenziali lo arricchiscano, ed inserire nella coppetta. O ancora gocce di olio di colza naturale aggiunte sulla superficie (o d’oliva che regalano anche un sorprendente effetto visivo) o shakerato (i martinisti rabbrividirebbero però c’è chi lo beve anche così).
Ma essendoci così tante “regole” e varianti, quali sono le caratteristiche del perfetto Martini? “Temperatura e quindi la giusta diluizione, perchè l’equilibrio perfetto è il bilanciamento tra le due, e poi l’onnipresente coppetta”, e l’errore da non fare? “Mai tenere il ghiaccio nella coppetta versando il liquido su di esso”.
Per ottenere un ottimo Martini è importante altresì utilizzare gin e vermut di grande qualità, ça va sans dire. Walter Gosso predilige il Ramsbury Gin proveniente dalle omonime tenute di proprietà che dominano le colline del Wiltshire, tra Londra e Cardif, è per questo che si può chiamare “Single Estate Gin”: “tutto viene coltivato in questa fattoria bagnata dal fiume Kennet, la cui acqua serve per ottenere un grande gin, prodotto da botanicals come ginepro e mela cotogna e da un unico grano di qualità (Horatio), tutti coltivati nell’azienda. È un london dry che si distingue per la sua naturalità nel cocktail, è verticale e dritto, un prodotto schietto, privo di false aromaticità, perfetto per Martini Cocktail e Gin and Tonic. Un gin pensato apposta per i drink classici ma versatile e disposto ad esaltarsi anche in altre ricette“.
Altri gin con cui far felici i vostri “clienti” a casa:
Portofino Dry Gin
“Le botaniche, sapientemente bilanciate, diventano sinestesia raccontando un viaggio lungo la costa mediterranea ed evocando i profumi della Riviera. Ventuno gli ingredienti accuratamente selezionati che vengono raccolti a mano nel giardino della mia famiglia, la famiglia Pudel, sulle colline di Portofino, e selezionati per le loro intense proprietà aromatiche amplificate dall'influenza della brezza marina e del calore del sole della Liguria”, racconta Ruggero Raymo, fondatore di Portofino Dry Gin.
Gin Puro
“Gin Puro è nato proprio per il Martini Cocktail ed in particolare nella versione classica: 3/4 Gin Puro e 1/4 Vermouth dry, nello specifico Noilly Prat o Riserva Carlo Alberto dry.
Infatti solo con una gradazione alcolica del gin superiore a 55° si possono mantenere queste proporzioni e creare quel cocktail che è diventato un mito nel XX° secolo”, afferma Michele Di Carlo che si è occupato di creazione e sviluppo della ricetta.
Monkey 47
“Il Martini è per eccellenza il cocktail per chi ama i sapori secchi e forti. Monkey 47 è in grado di regalare un tocco unico ed inaspettato grazie alle sue 47 botaniche che rendono questo cocktail più amabile e setoso al palato. Perfetto sia per chi vuole sperimentare sia per chi si avvicina per la prima volta a questo cocktail. Grazie alla sua dolcezza e alle sue note speziate e floreali dona un gusto originale al drink”, dice la Brand Manager Stefania Catalano.
Insomma, qual è la ricetta giusta del Martini Cocktail? La risposta non esiste, così come non esiste la ricetta definitiva ma quella che piace a voi. È un cocktail sartoriale e ognuno lo beve con le quantità e tipologie di gin e vermouth che preferisce, nonché scegliendo le proprie varianti. Su una cosa però si è sicuri: chi lo ordina non solo beve un drink, ogni volta viene sedotto osservando il rituale della preparazione e pregustandolo, quindi imparate a farlo nel migliore dei modi!