L'artista Cindy Sherman e la sua mostra di arazzi a Los Angeles

Via Zoom, lo scorcio che abbiamo dello studio di Cindy Sherman ci restituisce il ritratto di una delle più grandi artiste dei nostri tempi, in lockdown.

Ha trascorso gran parte dell’ultimo anno appartata nella sua abitazione in un quartiere tranquillo di East Hampton, nello Stato di New York, in compagnia del proprio compagno e del suo cane. Dietro di lei ci sono cinghie appese al soffitto per l’allenamento in sospensione e un materassino per lo yoga sul pavimento. In un angolo dell’inquadratura, scorgiamo, appena visibile, un tornio per la ceramica: di recente – ci racconta – ha accontentato una voglia che aveva da tempo di lavorare con le mani e sperimentare con un materiale come la creta. Qualcosa di tangibile in un mondo in cui il virtuale sembra essere diventato un tutt’uno con la realtà.

Cindy Sherman, Untitled (2019)

© Cindy Sherman / Sprüth Magers / Metro Pictures New York

Va detto, però, che l’incursione di Sherman nella ceramica è in linea con la direzione creativa su cui si stava avviando già prima della pandemia. A partire dal 2019, accanto alle grandi retrospettive presso istituzioni celebri come la National Portrait Gallery di Londra e la Fondazione Louis Vuitton di Parigi, aveva iniziato a trasformare in arazzi le immagini che postava su Instagram. Ebbene queste sono le prime opere non-fotografiche in oltre 40 anni di carriera e nove sono in mostra presso la galleria Sprüth Magers di Los Angeles.

Realizzati in fibre quali cotone, lana, acrilico e poliestere, gli arazzi sono stati prodotti in Belgio in omaggio alla secolare tradizione tessile del Paese. In ognuno di questi, Sherman assume le sembianze di un personaggio diverso trasformando il proprio aspetto grazie agli abiti, gli accessori, il colore degli occhi e dei capelli, cambiando di genere e manipolando le caratteristiche del volto.

Cindy Sherman, Untitled (2019)

© Cindy Sherman / Sprüth Magers / Metro Pictures New York

Questi tratti camaleontici rappresentano, a detta di Sherman, un atto di cancellazione di se stessa piuttosto che rivelare fantasie nascoste, che il pubblico tende spesso a proiettare sulle sue opere. Nel fare ciò, quello che, probabilmente, si perde è anche la gioia dell’artista, 67 anni, di creare nuovi personaggi. A questo proposito commenta: “Mi piace vedere quanto in là riesco a spingermi rispetto a ciò che mi è familiare. È divertente, ,lo è sempre stato, sin da quando ero bambina”.

Come è nata l’idea di creare arazzi?

“Come idea risale a circa 12 anni fa. Realizzai un paio di campioni con un’azienda californiana: la qualità era buona ma l’aspetto nel suo complesso non mi convinceva. L’immagine riprodotta era una figura intera e i dettagli andavano persi, nel senso che era impossibile farsi un’idea del volto del soggetto. Era solo un insieme di punti e trame. Allora ricordo di aver pensato che avrebbe funzionato bene per un primo piano”.

Come si è evoluto il processo creativo?

“Da quel primo esperimento non ho più accantonato l’idea. Avevo tutte queste immagini Instagram, che mi piacevano ma di cui non sapevo che uso fare. Come fotografie su larga scala non funzionavano in quanto erano state scattate con un cellulare o un iPad. Passare all’arazzo era un’ottima soluzione in quanto alla fine è una sorta di pixelaggio d’altri tempi – una griglia ben assemblata e armonizzata”.

Cindy Sherman (a sinistra) Untitled (2019); (al centro) Untitled (2019); (a destra) Untitled (2020)

© Cindy Sherman / Sprüth Magers / Metro Pictures New York

Cose le piace dei manufatti tessili e dell’abbigliamento come forma di auto-espressione?

“Amo i manufatti tessili per la loro qualità tattile. Gli arazzi, in particolare, hanno una texture tridimensionale: basta guardare alla varietà di carnagioni e al modo in cui un certo incarnato prende forma, strato su strato, durante l’esecuzione. Ha un aspetto molto topografico: dopo un po’ non sembra più pelle ma qualcosa di quasi astratto. L’abbigliamento è tutta un’altra storia. La moda può essere una forma di espressione infinitamente loquace e divertente”.

Ha passato gran parte dell’anno scorso in campagna. Le manca New York o la lontananza le ha fatto invece riflettere su dove desidera vivere veramente?

“Se devo essere sincera, in campagna ci sono molte più distrazioni. Distrazioni piacevoli, come in estate quando fa caldo e puoi andare a fare un giro in bicicletta o fare giardinaggio. Naturalmente mi sono data anche ai dolci e al pane fatto in casa, e ho sviluppato queste voglie impulsive per cui devo avere sempre disponibile del lievito madre”.

“Detto questo non so se sono pronta a trasferirmi in campagna a tempo pieno. Sarebbe molto difficile scegliere di rinunciare a tutto ciò che ti offre la città. Si bilanciano a vicenda in modo armonioso”.

La sua pratica è piuttosto auto-sufficiente nel senso che è lei stessa il soggetto della sua arte. Si sente mai sola?

“Sono un tipo solitario quindi la cosa non mi dispiace. Ora come ora mi mancano i miei amici e la famiglia, ma ci sentiamo via email, via messaggi e a volte su Zoom o FaceTime. Ma non mi mancano le cene o i vernissage in galleria”.

Cindy Sherman, Untitled (2020)

© Cindy Sherman / Sprüth Magers / Metro Pictures New York

Ho letto che ha creato quasi 650 personaggi. Ne ha dei preferiti che tende a rivisitare più e più volte?

“Se devo essere sincera non li ho mai contati ma mi pare un numero verosimile. Mi piacciono i personaggi degli ultimi tempi ma se ho la sensazione che mi sto ripetendo, allora so che è arrivato il momento di voltare pagina. Detto questo, anno dopo anno, diventa sempre più dura fare qualcosa di nuovo”.

A Cindy Book— un album di fotografie di famiglia che ha iniziato a mettere assieme da bambina – ha rappresentato una parte indimenticabile della sua retrospettiva di Londra, mettendo in luce come la sua passione per trasformare il suo aspetto fisico risalga alla sua infanzia. Che ricordi ha di quando ha iniziato a realizzare quell’album e cosa direbbe ora a quella bambina?

“Avevo circa sei anni quando ho iniziato. In casa eravamo soliti tenere le foto di famiglia in vecchie scatole per le scarpe e io adoravo prenderle in rassegna di tanto in tanto, andando a riscoprire momenti della mia esistenza o del mio passato. Sono la più piccola di cinque bambini con una grande differenza di età tra me e gli altri, il che significa che la mia famiglia ha vissuto tutta una vita sua prima del mio arrivo. Uno dei motivi per cui ho creato A Cindy Book era per collocare me stessa all’interno della famiglia o unità sociale. Non so cosa direi a quella bambina. Forse ‘Hai bisogno di un pò di psicoterapia [ride]’”.

Cindy Sherman, un dettaglio di Untitled (2019)

© Cindy Sherman / Sprüth Magers / Metro Pictures New York

Nel2017ha reso pubblico il suo profilo Instagram: i social media hanno influito sul modo in cui lavora?

“Alcune delle app, come Facetune e Perfect365 che utilizzo per trasformare le immagine, hanno influito più di Instagram sul mio lavoro. Mi hanno fatto pensare ai filtri in maniera diversa, portandomi a risultati che non avrei altrimenti raggiunto o sperimentato con Photoshop. È stato divertente ma credo di aver esaurito il loro potenziale”.

“Uso i social in maniera molto sporadica. A volte non ho alcun desiderio di navigare, altre volte, invece, è bello relazionarsi nuovamente con la gente e vedere come se la sta passando e cosa sta facendo. Odio la sensazione di dipendere da qualcosa. C’è stato un periodo in cui non appena mi mettevo a letto iniziavo a navigare su Instagram. Negli ultimi tempi, invece, preferisco leggere un libro alla sera”.

Che libri ha letto e ha amato di recente?

“Ho letto La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante (Edizioni e/o, 2019). Un ottimo libro”.

Cindy Sherman, Untitled (2020)

© Cindy Sherman / Sprüth Magers / Metro Pictures New York

Il termine ‘female gaze’ si applica generalmente alle opere di artiste femminili. Qual è la sua opinione a riguardo?

“Crescendo ero decisamente molto consapevole di quelle che erano le aspettative poste su di me in quanto donna e sulla femminilità in generale. Durante il college, ho iniziato a metterle in dubbio e a sentirmi infastidita. Sono venuta a conoscenza del termine [female gaze] solo dopo aver letto una recensione del mio lavoro. Quindi non è mai stato qualcosa che avevo articolato io stessa. Le mie prime opere ispirate ai film noir [risalenti agli anni 1977-1980] e tutto quanto ho creato da allora ha lo scopo di mettere in discussione quelle che sono le aspettative poste su di me dalla società”.

Cindy Sherman: Tapestries è in mostra alla GalleriaSprüth Magersdi Los Angeles, Stati Uniti, fino all’1 maggio.

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