La parola magica: comunità

Un celebre saggio del sociologo Zygmunt Bauman, il teorico della società liquida, dei rapporti fluidi, delle relazioni volatili, si apre così: «Le parole hanno un significato.

Alcune, tuttavia, hanno anche un sentire. La parola comunità è una di loro. Fa stare bene». Quel testo s’intitola Community e oggi ritrova rilevanza per il sottotitolo: In cerca di sicurezza in un mondo insicuro. È stato premonitore, ma per difetto: la prima edizione, uscita nel 2000, non poteva immaginare cosa sarebbe successo vent’anni più tardi, quando l’insicurezza ha assunto un significato inedito, un’intensità più profonda. La pandemia, che prescrive l’allontanamento, che alimenta la diffidenza verso l’altro, rischia di sciogliere i legami benefici della comunità. Di far evaporare la società liquida.

«Nulla di più pericoloso. Diversi studi mostrano che la sensazione della solitudine, se prolungata, può danneggiare la salute fisica alla pari del fumo e dell’obesità», commenta Vanessa King, inglese, esperta di fama internazionale di psicologia positiva, coautrice del libro appena pubblicato Creating the World We Want to Live in (Routledge). Si tratta quasi di una prosecuzione del lavoro di Bauman. «Un’indagine durata decenni, l’Harvard Study of Adult Development», ricorda King, «ha dimostrato che i fattori in grado di fare la differenza nel lungo periodo per il benessere delle persone non sono la carriera o i soldi, ma le relazioni con gli altri».

Una fotografia di Peyton Fulford, classe 1994, la cui opera mette a fuoco le subculture giovanili nel sud degli Stati Uniti. Lo scatto fa parte della serie “Infinite Tenderness”. «Sono cresciuta in una famiglia molto religiosa e non ho vissuto bene il mio coming out queer fino ai 21 anni. Ogni individuo in queste immagini dipende da un altro in termini di supporto e di comprensione verso le nostre identità in continuo mutamento», spiega l’autrice.

© csu

Sarà d’accordo che stiamo vivendo un paradosso. Proprio quando ne avremmo più necessità, quegli scambi essenziali ci vengono proibiti.
Sono molto critica verso l’espressione “distanziamento sociale”, dovremmo stare fisicamente distanti rimanendo socialmente vicini. Voglio vederla al contrario, la pandemia ha riportato al centro la comunità, mostrato l’essenzialità dell’investire nelle interazioni. La rarità ne ha amplificato l’intensità, influendo su quello che il politologo americano Robert Putnam chiama capitale sociale.

A cosa si riferisce?
Alla mutualità che discende da un atteggiamento positivo. Se sono amichevole, caloroso, solidale, è probabile che gli altri lo saranno con me. Se mi dimostro scontroso e sbrigativo, verrò ripagato con la stessa moneta. Ciò che succede nelle dinamiche tra i singoli, si riflette nella collettività.

La creatività trae beneficio da questo circolo virtuoso?
C’è un vecchio adagio che recita: «Non esistono davvero nuove idee, semplicemente nuove connessioni». L’incontro stimola il pensiero. Possiamo fare bene in autonomia, ma mettere un’intuizione alla prova del confronto la fortifica, la fa evolvere, la rende migliore. A patto che nei componenti di un gruppo si instauri un senso di sicurezza psicologica.

(Continua)

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