Nel castello fuori dal tempo del restauratore di meraviglie

Castel Giuliano, un’ora da Roma. Lì, lungo un’antica strada etrusca che collegava il mare Tirreno alla Tuscia, sorge Palazzo Patrizi, tra il lago di Bracciano e

la necropoli di Cerveteri. Intorno, un paesaggio alla Annibale Carracci, fatto di dolci colline a ponente, valloni con torrenti e cascatelle ai lati. Varcato il grande portale del seicentesco castello, l’energia del luogo, il giardino con prospettiva sul bosco di pini marittimi, i cedri del Libano e le rose rampicanti creano l’emozione, oggi sempre più rara, di entrare in un mondo fuori dal tempo. 

La grande sala dell’appartamento di Raniero Gnoli a Palazzo Patrizi. Le cornici ottagonali di ebano che contengono pietre dure sono una delle molte invenzioni di Gnoli; di una serie complessiva di dieci, quattro dipinti su seta raffigurano delle rocce cinesi; contro la parete di fondo, due denti di narvalo; la decorazione del grande mappamondo su base di radica con le pagine di un antico libro è un incompiuto di Gnoli.

© Massimo Listri

«Vivo qui dal 1964, quando Innocenzo Patrizi mi propose di venire ad abitarvi», ricorda Raniero Gnoli, nobile e di antica famiglia che in questi decenni ha incessantemente recuperato il vasto edificio. «Allora era praticamente un pollaio. Un lussuosissimo pollaio». Al mio: «Buongiorno professore..., conte...», lui, subito, taglia corto: «Non ci davamo del tu?», a rimarcare la naturale cordialità del grande studioso, allievo di Mario Praz e di Giuseppe Tucci, per quasi 40 anni titolare della cattedra di Indologia a La Sapienza di Roma, autore di saggi di filosofia ed estetica indiana, grande conoscitore dell’archeologia romana.

La camera da letto. Le cineserie sono dipinte su legno da Gnoli.

© Massimo Listri

«La mia vita è fatta di fissazioni», dice con misurato compiacimento. «Prima, al liceo, con il greco antico, poi il copto, il sanscrito, la filosofia orientale, l’ebanisteria, fino alle pietre da decorazione usate dagli antichi». Il suo “Marmora Romana”, che pubblicò nel 1971, è tuttora il testo che ha riscattato dall’oblio il marmo romano antico. Nessuno ne aveva mai presentato con foto a colori una varietà così ampia e in uno studio esaustivo. «Li “leggo” da più di 80 anni. La mia vera fissazione restano loro». Tutto parte dalla primissima infanzia: «A tre o quattro anni, costringevo mio padre a portarmi ai Fori o a Pietrapapa, lungo il Tevere. La storia dell’arte non mi interessava: i marmi mi piacevano come materiale in sé».

Raniero Gnoli, novantuno anni compiuti a gennaio, ritratto da Massimo Listri nel salone.

© Massimo Listri

Ma Raniero Gnoli è anche un incredibile esperto di broccati, passamanerie – «sempre da piccolo mia madre mi accompagnava invece a via dell’Anima in un bel negozio di passamaneria, vicino a Palazzo Gambirasi dove sono nato e vivevo» –, cere, ebanisteria, avori, murrine, patine, pigmenti, pelli, metalli. Un physique da ufficiale britannico presso la Compagnia delle Indie, occhi azzurro acquamarina, la cifra più profonda di questo studioso è il talento di coniugare sapienza manuale e mondo antiquario – «Da ragazzo dipingevo delle copie di antiche miniature europee».

Un dettaglio della libreria. A lungo viaggiatore instancabile, ha visitato «tutti i principali luoghi e monumenti del bacino del Mediterraneo dove sono marmi antichi», come ricorda Vittorio Sgarbi introducendo la nuova edizione per La nave di Teseo di Marmora romana, testo tuttora fondamentale sulle pietre da decorazione usate dagli antichi. Dopo il greco e il latino, Gnoli si è dedicato al sanscrito, divenendo dal 1964, a 34 anni, professore ordinario di Indologia alla Sapienza di Roma, fino al 2000.

© Massimo Listri

(Continua)

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