Sant'Andrea e i Fagiani

Un quarto d’ora d’autostrada e ci si ritrova in mezzo a ettari di boschi e risaie a non finire. Nella Casa dei Fagiani, qui dove il

Ticino fa un’ansa e incontrare aironi, daini, caprioli è normale, il traffico di via Sant’Andrea (quella del quadrilatero milanese) è per il collezionista un rumore ormai dimenticato. Vivissimo, nonostante i decenni passati, rimane invece il suo ricordo di quell’appartamento dove abitava, all’ultimo piano di uno di quegli eleganti palazzi Ottocento, a due passi da via della Spiga. «Non era per avere una casa in centro», spiega il collezionista.

Nella Casa dei Fagiani. In soggiorno, il divano d’acciaio è di Ron Arad; le poltroncine con schienale mobile sono disegnate dal padrone di casa e realizzate da Renzo Brugola; sul tavolino: ceramica di Arturo Martini, vaso in cristallo con bocca espansa lavorata di Annette Meech (1990); vaso da fiori Ringhiera in marmo, legno e rame di Ettore Sottsass jr per Design Gallery (1988). Accanto alla finestra: appendiabiti in acciaio inox satinato con base in graniglia di Beppe Caturegli per Memphis (1986); la tenda è un progetto del collezionista: la ragazza nella foto serigrafata sul tessuto era appoggiata al davanzale dell’appartamento milanese.

© Santi Caleca

«Sono del lago di Como. Ma non è solo il lago, è dove uno è nato: il legame con il luogo d’origine è un imprinting incancellabile. Ho bisogno dell’acqua vicino, qui sono felice. Non ho mai amato molto Milano, ma il lavoro era lì. E poi, soprattutto, mi serviva spazio per la collezione che stava crescendo». Ecco il punto. Nata e cresciuta sul Lario, come il suo autore, è una raccolta tuttora in divenire che, spaziando per tutte le arti applicate del XX secolo pressoché esclusivamente italiano e mitteleuropeo, in un allestimento alieno alle logiche compilatorie da museo avvicina arredi fuoriserie, produzioni industriali, pezzi unici e progetti propri secondo un personale studio di rapporti storici e formali.

La camera da letto, nell’appartamento milanese di via Sant’Andrea. Il letto disegnato da Alessandro Mendini è come protetto da colonne ed è sollevato da terra; le colonne-contenitore di legno intarsiato o serigrafato sono sormontate da ali di vetro. Davanti al letto, riedizione di una seduta di Gaudí e divanetto di Quarti. A soffitto, un olio su tavola di Marco Rossati (1989). Il nudo alla parete è del pittore comasco Manlio Rho (1933-34). Sul fondo, una seduta di Bugatti. I vetri a cattedrale sono su disegno di Mendini. Le pareti erano finite a encausto, con colori differenti secondo i vari ambienti, qui in azzurro.

© Santi Caleca

«Sono un amante della storia del Novecento. La conosco a fondo. Ho sempre raccolto pezzi di cui comprendo le connessioni con il momento storico. Per esempio, ho acquistato da poco un piatto di Pietro Melandri. È un autore che di solito non mi piace molto, ma quel lavoro è bellissimo, uno specchio del tempo. Ho preso anche una ceramica di Umberto Bellotto. È famoso per il ferro battuto, ma ha lavorato anche con altri materiali; un artigiano poliedrico. A conquistarmi è stato il personaggio».

Ancora in via Sant’Andrea. Nella sala da pranzo dominava il tavolo-altare; voluto e ideato dal collezionista, era stato poi definito nel suo aspetto formale da Mendini. Grazie a un meccanismo idraulico, il tavolo poteva salire dall’altezza consueta per l’uso quotidiano fino al soffitto, incontrando così una tavola dello stesso Mendini raffigurante due figure accovacciate per un pranzo all’orientale, realizzate a lacca su legno trattato a foglia d’oro. La poltrona e il divanetto sono di Eugenio Quarti. I due archi sul fondo conducevano al tinello-cucina. Ceramiche di Galileo Chini. Le pareti erano finite a encausto rosso.

© Santi Caleca

Ma torniamo a Milano. A metà anni 80, Sant’Andrea era ancora bella, viva, «c’erano negozi, ma anche bar, ristoranti». Poi le cose sono cambiate. «È sparito tutto. Solo shopping e boutique. Sotto Natale avevo un bel da fare a spiegare al vigile che io in quella strada ci abitavo, mentre lui voleva mandarmi via. Una tragedia». Anche se la vita e il lavoro lo hanno allontanato dalla metropoli, al nostro collezionista un po’ di nostalgia per quei 15 anni con il cap 20121 è però rimasta. «Era un oggetto bellissimo», ricorda, guardando le foto che Santi Caleca aveva realizzato per un servizio su Casa Vogue del ’91. 

La poltrona Up5 di Gaetano Pesce (B&B Italia). Il vetro a cattedrale proviene dalla precedente casa. La moquette è ideata e prodotta dal proprietario.

© Santi Caleca

«Il vero divertimento» è consistito, più che nell’abitare l’oggetto, in quel biennio ’86-88 trascorso a costruirlo. Ad arricchire l’impresa di ulteriore piacere fu anche il coinvolgimento – venne definito “intervento demiurgico” – di Alessandro Mendini che, mettendo a disposizione il suo lavoro creativo per dare forma alle idee del collezionista, aveva così fornito un fondale a effetto per la grande raccolta.

Ettore Sottsass jr aveva progettato la libreria con scrittoio e pensili in legno laccato e marmo nel 1991; è stata poi realizzata nel 1992/1993. Nella collocazione originaria la struttura inquadrava una porta; oggi è la finestra nella foto, ritagliata su misura durante la ristrutturazione dell’edificio. La libreria espone una vasta carrellata della produzione ceramica del Novecento, nello spirito di questa raccolta di arti decorative; dunque, opere di Ponti, Melandri, Cambellotti, Andlovitz, ma anche di Sottsass jr, Matteo Thun; produzioni di Laveno e Richard-Ginori, come pure inglesi, tedesche e austriache.

© Santi Caleca

«Francamente non lo conoscevo. Mi venne consigliato e ci trovammo simpatici. Era molto profondo nell’analisi, mi ha insegnato tanto. Poi le cose le abbiamo fatte insieme». Era un team affiatato. «Gli davo i miei disegni e lui li definiva». A tenere insieme quei 300 metri quadrati lungo una sequenza di ambienti a cannocchiale, come usava una volta, e declinati in un progetto caleidoscopico, erano i tanti dettagli, a cominciare dalla uniforme gettata di palladiana arricchita di frammenti di vetri colorati e dorati. «Il seminato l’avevo voluto io. Dissi a Mendini: “Mettiamo le pietre per terra”».

(Continua)

Leggete l’articolo integrale di Paolo Lavezzari e sfogliate il servizio fotografico di Santi Caleca sul numero di aprile diCasa Vogue, in edicola con Vogue Italia

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