Amy Winehouse, 10 anni senza la Regina del soul

Amy Winehouse, 10 anni senza la Regina del soul

Amy Winehouse. A dieci anni dalla morte arriva il documentario tanto atteso,Reclaiming Amy, dedicato alla Regina del soul.

Sono già passati dieci anni, eppure sembra solo

ieri il giorno in cui tutto il mondo venne a sapere che Amy Winehouse, una delle più grandi voci soul di sempre, se n’era andata. Morta, nel suo letto, a casa, situata al numero 30 di Camden Square. Era il 23 luglio del 2011, Amy aveva solo 27 anni. Una stella caduta troppo presto, vittima non solo dell’abuso di alcol, ma anche di una fragilità emotiva diventata sempre più grande proprio come il suo successo. La sua vita viene raccontata oggi, nel decimo anniversario della sua scomparsa, il 23 luglio 2021, da Reclaiming Amy, un documentario realizzato dalla BBC.

Reclaiming Amy celebra la vita di Amy Winehouse attraverso le (sue stesse) parole e le testimonianze dei suoi amici e dei suoi cari, a partire dai suoi genitori: la madre Janis Winehouse-Collins e il padre Mitch. È proprio mamma Janis (affetta da sclerosi multipla, una malattia degenerativa che le sta cancellando anche i ricordi) la voce narrante del documentario che racconta al pubblico una delle più grandi icone di sempre dellamusica. In un passaggio che la BBC ha trasmesso in anteprima, sentiamo la madre pronunciare questa frase: “non credo che il mondo conoscesse la vera Amy, quella che ho cresciuto, e non vedo l'ora di offrire al pubblico una grande opportunità: la comprensione delle sue radici e una visione più profonda della vera Amy”. 

Lo stesso proposito l’aveva avuto anche Asif Kapadia che nel 2015 aveva diretto Amy – The Girl Behind the Name, un documentario che arrivò a vincere l’Oscar nella sua categoria nel 2016. Presentato Fuori Concorso al Festival di Cannes, il lungometraggio dedicato alla tormentata voce di Back to Black (come l’omonimo album che scalò tutte le classifiche del mondo), mostrava immagini e filmati d’archivio inediti di un’artista davvero speciale, intensa e carismatica, dotata di un talento incredibile (quella sua voce “nera” che già conquistò la critica con il suo primo album, Frank, 2003). 

Kapadia, che raccontò per immagini gli aspetti meno noti della cantante (attraverso le parole della stessa Amy), cercò di capire la sua anima attraverso le sue stesse canzoni. I testi che scriveva erano infatti molto personali: la cantante usava la scrittura in forma catartica, come una terapia attraverso cui elaborare le emozioni più difficili. Nata a Londra da una famiglia di origini ebraiche (il 14 settembre 1983), Amy ha da sempre avuto un difficile rapporto con l’ordine prestabilito e le regole (un anno fu anche espulsa da scuola). La sua voce era la sua arma, preferiva la musica allo studio. Quando pubblicò Black to Black (lanciato dall’autobiografico singolo Rehab) – un album ispirato alla musica dei gruppi vocali femminili anni ’50 e ’60 – il suo successo diventò subito planetario (conquistò 5 Grammy, e un sesto arriverà postumo). E oltre alla sua capacità vocale, ad ammaliare tutti era anche il suo personalissimo stile, un sapiente métissage anni ’50 ed elementi contemporanei: la “cofana” di capelli corvini e il tratto nero dell’eyeliner in contrasto con i tatuaggi impressi sulle braccia, la lingerie in vista e gli shorts a vita bassa. Una bellissima ragazza, sensuale come la sua voce.

Amy Winehouse

© Danny Martindale

Eppure, tutto l’affetto del suo pubblico non l’è bastato. La dipendenza dall'alcol la faceva soffrire e la sua tormentata e distruttiva relazione con Blake Fielder-Civil (i due si sposarono a Miami Beach nel maggio del 2007 per poi divorziare nell’agosto del 2009) l’avvicinò drammaticamente anche all’uso di stupefacenti (in particolare eroina). L’inizio della fine, come disse Kapadia: “la morte di Amy non è stato un episodio improvviso: in qualche modo sapevamo che sarebbe potuto accadere perché stava percorrendo quella strada”. Una circostanza riconosciuta dallo stesso Fielder-Civil già nel 2008 quando dichiarò: “ho portato mia moglie giù per una strada che non avrebbe mai dovuto percorrere”. Ma nonostante la pessima influenza (davvero tossica) che l’uomo esercitò su di lei, oggi la madre di Amy nel nuovo documentario della BBC difende quella relazione ritenendola “genuina ed intima e, anche se complicata, con l’amore sempre al centro di tutto”. 

Amy Winehouse e Blake Fielder-Civil

© Denise Truscello

Mitch, il padre di Amy, pochi giorni fa al Sun ha ammesso di non aver ancora superato la scomparsa della figlia – “questa ricorrenza riaccende i riflettori sulla sua scomparsa, ma questo ci fa rivivere tutto di nuovo e in molti modi non supereremo mai la sua morte” – ma soprattutto ha dichiarato la sua missione, che ben emerge nel nuovo documentario: “vogliamo ricordarla non solo per i suoi problemi e le sue dipendenze, ma per il suo talento, la sua generosità e l'amore che mostrava a tutti”. 

Ecco, l’amore. Forse le è mancato quello, era quella la sua vera sete più grande. Lioness: Hidden Tresaures, il disco uscito postumo nel dicembre 2011, fu un pugno sul cuore di tutti i suoi fan. Perché Winehouse oramai non c’era più. La sua musica, invece è eterna. 

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