“It's a sin”: poesia e storia recente si intrecciano nella nuovaserie tvdi Starzplay
Capolavoro: basta una sola parola per descrivere It’s a sin. La miniserie britannica
Its' a sin
© Ben Blackall
La trama
Il racconto, nato da Russell T Davies (già creatore di Queer as folk), ruota attorno ad un gruppo di ragazzi che si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto, un appartamento ribattezzato Pink Palace, a Londra. La spensieratezza tipica dell’età si mescola all’ebbrezza di una libertà ritrovata, perché molti provengono da una provincia bigotta e trovano nella capitale la spinta per il coming out. Grazie a cameo illustri come quello di Neil Patrick Harris (How I met your mother) e Stephen Fry (Wilde), la storia acquista uno spessore sempre maggiore quando l’energia vitale di questi giovani inizia a spegnersi con il dilagare del virus dell’HIV, che colpisce la comunità omosessuale trasformandosi in uno stigma sociale.
I protagonisti
All’inizio della storia Ritchie (Olly Alexander, di recente sul palco dei BRIT Awards in un duetto potentissimo con Elton John), Roscoe (Omari Douglas), Colin (Callum Scott Howells), Ash (Nathaniel Curtis) e Jill (Lydia West) sono perfetti sconosciuti, ma diventano pian piano una vera e propria famiglia, capace di far squadra e rete anche quando i veri consanguinei sono pronti a voltar loro le spalle. Le vicende dei protagonisti si snodano attraverso dieci anni delle loro vite e ruotano attorno alla forza, a volte disperatissima, dell’amore. Hanno caratteri molto diversi, aspirazioni in campi differenti e stili di vita in alcuni casi incompatibili, ma restano disposti ad appoggiarsi a qualunque costo e a volersi bene incondizionatamente, in un’epoca in cui è pericoloso, illegale e persino letale.
La parola a Nathaniel Curtis
Di questo team di giovani prodigi fa parte Nathaniel Curtis che dall’abitazione londinese racconta a Vogue via Zoom le lacrime e i batticuori sul set. Preparate i kleenex, per alcune scene sarà necessaria una pausa.
Non è possibile fare una maratona diIt’s a sinsenza iniziare a singhiozzare. Lei se l’è cavata meglio, conoscendo già l’evoluzione della scena?
Non proprio. Anche se non sono uno dal pianto facile, riguardando il terzo episodio non ho potuto farne a meno. Ho dovuto fermare la riproduzione perché non riuscivo ad andare avanti. Sembra strano, perché di fatto io sono in scena assieme al resto del cast, ma anche in quel momento sul set tutti singhiozzavamo in un angolo e a distanza di tempo quell’emozione non si è affievolita.
Ha detto che non si commuove facilmente. Cosa, invece, la fa sciogliere?
I video degli animali che vengono salvati dai maltrattamenti mi fanno letteralmente sciogliere, perché la tristezza nel guardare immagini di loro che soffrono diventa totale.
Chi inviterebbe a vivere con lei nel Pink Palace?
Tutti i membri del cast perché so che la convivenza filerebbe liscia. Abbiamo passato talmente tanto tempo assieme dopo le riprese che ci conosciamo benissimo…
Nathaniel Curtis
© Ben Blackall
E per una cena?
Innanzitutto Cleopatra, una donna tosta e capace, poi Freddy Mercury, per la voce che incanta e infine Anna Bolena, che di sicuro ha tanto da raccontare. Per noi indiani il cibo è amore, quindi più siamo a tavola e meglio è, mi deprime cenare da solo.
Ricorda la prima volta che ha sentito parlare dell’HIV? Io ero in quinta elementare a scuola.
Magari… in classe nessuno ne ha mai fatto menzione e credo che sia atroce e che tra i banchi di scuola se ne debba assolutamente parlare. Credo di aver avuto 19 anni quando ne ho sentito parlare, in una piece teatrale a Londra su attori impossibilitati a fare coming out o spinti a insabbiare informazioni sulla propria vita sessuale, come Rock Hudson, che fu il primo personaggio pubblico a morire di AIDS. Quell’evento ha cambiato la mia prospettiva sulla vita.
Ash e i suoi amici sono considerati degli emarginati sociali per via della loro omosessualità. Lei si è mai sentito diverso?
Sono stato un outsider per la maggior parte della mia infanzia, soprattutto a scuola, non mi sentivo accettato da nessuna parte, neppure nella chiesa che frequentavano i miei genitori. In un periodo molto buio della mia vita però è arrivata la scuola d’arte e finalmente ho trovato un posto dove appartenere.
La serie racconta il sesso in maniera molto esplicita. Qualche imbarazzo sul set?
Nessuno. Avevamo un coordinatore d’intimità a supervisionare il tutto. Ogni momento raccontato era fondamentale per la storia, niente di gratuito o morboso, ma assolutamente naturale quando si parla d’amore.
Nathaniel Curtis e Olly Alexander in una scena di It's a sin
It’s a sin è ormai una pietra miliare della cultura pop. A quale altro progetto iconico vorrebbe partecipare? Fosse per me, farei da giudice ospite di RuPaul’s Drag Race…
Buona idea! Io però preferirei partecipare a the Great British Bake Off, non perché sia bravo, ma perché mi piace mettermi alla prova ai fornelli. Ho un amico, Michael, che è un genio assoluto in cucina, e un pochino lo invidio…
In cos’altro non se la cava bene?
Nel parlare dei miei sentimenti, ambito in cui viene fuori la mia natura britannica.
In cosa eccelle, invece?
Nel raccomandare i libri agli amici sono un asso!
Il titolo della serie tradotto in italiano suona come “questo è peccato”, quale pensa sia il più grande male della nostra società?
Ce ne sono tanti, a cominciare dalla mancanza di onestà e dalla poca cura per l’istruzione… oltre che per l’idratazione della pelle!
Olly Alexander
© Ben Blackall