Mostre 2021: Laura Grisi, un'artista da riscoprire

Mostre 2021: Laura Grisi, un'artista da riscoprire

Laura Grisi inmostra

C’è un gioco che spesso i bambini amano fare, sulla spiaggia: prendere una manciata di sabbia e provare a contarne i granelli. Quanti

ce ne stanno in una mano? E quanto è grande il mare? Che suono ha il singolo grano che cade sulla rena? E quello della formica, che si muove lì accanto? Si può cogliere l’impercettibile? Laura Grisi pensava di sì, o per lo meno che valesse la pena tentare.

Siamo in Engadina, nella piccola frazione di Susch, vicino al Passo Flüela, 45 km da St Moritz, su un’antica strada già battuta dai pellegrini che scendevano verso Roma. In questo piccolo villaggio, dal 2017, l’imprenditrice polacca e collezionista Grażyna Kulczyk - capello corto, occhi azzurrissimi, fisico atletico - ha fondato il Muzeum Susch (www.muzeumsusch.ch), 1500 mq distribuiti su vari edifici, tra cui un vecchio monastero con il suo antico birrificio, collegati da gallerie interne nella roccia a vista. Il recupero edilizio, tra l’iniziale sospetto dei locali, preoccupati per un’eventuale speculazione, è stato affidato non ad archistar ma ad architetti del posto: il risultato è straordinario. Il museo, retto dall’Art Station Foundation CH per promuovere l’arte contemporanea e le residenze d’artista, è punteggiato da una serie di opere site-specific che dialogano con il torrente affianco e con il paesaggio circostante. Qui ci sono alcuni pezzi cari alla fondatrice (considerata tra i duecento più importanti collezionisti al mondo) ma non tutta la sua corposa collezione, da sempre attenta al lavoro diartiste donne, specie quelle il cui talento è stato sottostimato.

Laura Grisi nel suo studio, nel 1968

E allora torniamo a Laura Grisi (1939-2017), molto amata da Grażyba Kulczyk: è lei l’artista che prova a contare i granelli di sabbia, a catturare il vento, la nebbia, la pioggia, le gocce di acqua ed è ancora lei che si cimenta nell’elenco delle possibili combinazioni visive tra 4 sassolini diversi, nella ripresa del diverso suono che provocano dieci materiali differenti se cadono in un bacino d’acqua, nella sezione del tempo di un cronografo grazie a 360 scatti dello stesso istante.

Difficile da definire, Laura Grisi. Doveroso riscoprirla. Nata a Rodi, educata a Parigi e a New York, per anni accompagna il marito Folco Quilici, grande documentarista di cinema e tv, nei suoi viaggi di esplorazione. Grisi viaggia tra le Ande e la Pampas alla fine degli anni Cinquanta poi si sposta in Africa e in Polinesia tra le tribù ancora poco contaminate dal progresso, poi ancora va nel sud-est asiatico e di nuovo in Africa. Vive in giro per il mondo fino a metà degli anni Settanta. Di quel periodo straordinario restano 5mila (un numero impressionante) di scatti: la fotografia è uno dei primi mezzi espressivi di Grisi. Tuttavia, presto passa il testimone ad altro e questo è ciò che ben racconta “The measuring of Time” la prima ampia retrospettiva a lei dedicata, curata da Marco Scotini, che ha appena aperto al Musezum Susch e che sarà visitabile fino a dicembre.
Vale il viaggio.

Laura Grisi prepara l'installazione “Drops of Water”, nel 1968

Sala dopo sala, nell’incredibile saliscendi di questo museo scavato nella roccia, impariamo a conoscere una grandissima artista italiana troppo a lungo misconosciuta perché difficile da incasellare. Si comincia con una videoproiezione a terra, “Whirlpool Room”, del ‘69, che è un vortice circolare che pare risucchiare il pubblico. La vita - anzi il pensiero stesso - è movimento: siamo tutti soggetti nomadi, suggerisce Grisi. La sua ricerca attraverso la tavolozza con le ‘pitture variabili’ costruite su pannelli scorrevoli: studia le nuvole (e infatti una delle opere più intense si intitola ‘Omaggio a Constable’, il pittore dei cieli) e costruisce finestre ben definite geometricamente che si affacciano su paesaggi dell’anima. Laura Grisi lavora sulle lenti e sulla messa a fuoco del mondo sfruttando i materiali più diversi (pannelli di alluminio, plexiglas, acciaio). La bidimensionalità non le basta più: arrivano i neon e i quadri diventano delle scatole di plastica di grande effetto, come ‘Subway’. Le sue pitture di neon giocano sull’effetto nebuloso e opaco: che cosa percepisco davvero del mondo? Le sale del museo sono avvolte da una sottile nebbia e preludono agli sviluppi successivi della ricerca di Grisi: la ricreazione di ambienti naturali.

Laura Grisi, Antinebbia, 1968

Eccoci allora nelle stanze del vento, della pioggia e della nebbia come la suggestiva ‘A space of fog’, con totem a spirali di neon incorporati in colonne di plexiglas avvolte da nubi di vapore. Laura Grisi - dice Scotini - ‘femminilizza lo spazio’: sostituisce l’elemento solido con quello fluido, cerca l’intangibile, solletica tutti i nostri sensi. Quasi al termine del percorso di questa mostra, che è un viaggio nella produzione dell’artista - così fedele a sé stessa da aver smesso di creare negli anni Ottanta, convinta di non aver altro da dire – c’è una delle sale più toccanti: espone, proiettato su muro, un frammento filmico in cui Grisi, bellissima, si autoinfligge il supplizio di Sisifo di contare quanti granelli di sabbia le scorrono tra le dita. L’ossessione per l’incommensurabile fa il paio con l’attenzione ai dettagli, ai particolari. Gli ultimi lavori sono puramente concettuali: Grisi prova a combinare i colori per creare un suo personale arcobaleno, scandaglia con centinaia di foto un cronometro che scorre per poi disegnare il suo personale scorrere del tempo.

Si esce dalla mostra incantati dalla varietà di ambienti e di stili attraversati: impossibile ‘misurare’ Laura Grisi. La sua arte è pura ecologia del pensiero, una boccata d’ossigeno contro la mediocrità.

Leggete anche il nostro articolo sulla mostra dedicata alla pittura italiana degli anni Ottanta

Laura Grisi, Subway, 1967

© Carlo Favero

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