Vogue Italia di luglio: l'editoriale del direttore

Prima di cominciare

Se c’è un argomento scivoloso per chi fa giornali è quello generazionale. Si corrono infatti due rischi: il primo è di osservare dall’alto,

finendo per fare sociologia spicciola e per mettersi chissà a quale titolo nella posizione di dare giudizi, o cadere nella tentazione del confronto. Il secondo, persino peggiore, è di provare a sentirsi parte di un gruppo anagrafico che non è il proprio, ignorando così l’effetto goffo che viene dal parlare una lingua che non appartiene.

Scampa meravigliosamente entrambi i pericoli Io e Te, il racconto di Ivan Cotroneo che leggerete su questo numero. È il dialogo immaginario tra una madre e una figlia adolescente, i cui ruoli si confondono e le distanze scolorano nel procedere del tempo, che non è mai una linea retta («Tu per me sei la prova che il tempo non scorre solo in una direzione, ma che le età della vita esistono tutte insieme»), sensazione ben nota a ogni genitore.

Sfumano una nell’altra, sulla copertina di questo mese, Monica Bellucci e la figlia Deva Cassel, fotografate assieme, per la prima volta, da Paolo Roversi. Il gesto di farsi da parte e lasciare i riflettori a Deva lo ha voluto Monica stessa. Diamogliene atto: fare spazio a chi viene dopo (una figlia, un successore) non è cosa che siamo abituati a vedere spesso.

Così Deva (di lei dice Roversi: «Ho sentito la stessa emozione provata con Natalia Vodianova e Kate Moss. L’emozione davanti alla bellezza pura») e i suoi sedici anni aprono un numero che alla sua età è interamente dedicato. Per riflettere su cosa può aver voluto dire viverli in confinamento, i sedici anni, e immaginare come riparta la vita nell’estate appena cominciata. E poi, perché no, per capire se la moda trova spazio nei loro pensieri. Come si legge a pagina 53, «(i teenager) sono arbitri di stile nella loro comunità e il loro aspetto esterna con maggiore incisività come una comunità si definisce in un determinato momento storico».

Abbiamo provato a fare i conti con ciò che è vivo e ciò che è morto nel mito degli Sweet Sixteen, perché l’idealismo deve prendere atto che la realtà oggi è dura. Abbiamo offerto pagine da scrivere a chi sedici anni li ha davvero, abbiamo parlato dei cliché di cui questa età è vittima e carnefice, delle relazioni con le madri, del miraggio dell’infantilità che si confronta con l’età adulta, e soprattutto della bellezza di una nuova generazione forse per la prima volta autenticamente globale.

Se siamo riusciti a scampare il doppio pericolo, di guardarli da troppo lontano o da troppo vicino, lo valuterà il lettore. In fondo questo voleva essere soprattutto un viaggio di emozioni. Sono quelle, a tinte accese, che solo un certo momento della vita sa offrire: il senso di inquietudine e assieme di infinita possibilità di quando tutto, in fondo, deve ancora cominciare.

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